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legacypedia 4.0 – settimana #8

01 Apr 2015

ANTONELLO VENDITTI – LILLY

lilly

“Lilly” è l’album che consacra Antonello Venditti al successo. E’ il 1975, prima di allora il cantautore aveva pubblicato “Theorius Campus” (1972) con Francesco De Gregori, poi “L’orso bruno”, “Le cose della vita”, entrambi nel 1973 e
“Quando verrà natale”(1974)
“Lilly” è arrangiato dallo stesso Venditti insieme a Samale e Mazzucca, questi ultimi provenienti dal mondo della classica. Tra i musicisti i Cyan, gruppo che nel 1979 accompagnerà De Gregori nel tour di grandissimo successo
“Banana Republic”, con Lucio Dalla.
“Lilly” è anche il brano che apre l’intero album. Ballata pop, poggia sul bell’accompagnamento della dodici corde di Enrico Ciacci, chitarrista di valore e , per inciso, collaboratore e fratello di Little Tony.
Con grande partecipazione emotiva Venditti ci racconta la storia di un’amica tossicodipendente. Il tono è pieno di “pietas”, i temini usati invece sono volutamente crudi e scarni. Storia di una vita che poteva essere e non sarà mai. Una
storia che parla di droga era una novità assoluta nel nostro panorama musicale, e più volte nella sua carriera Venditti verrà criticato o censurato per i temi affrontati o l’uso di termini “crudi”.
“L’amore non ha padroni” ha un fondo autobiografico ed è dedicato a Simona Izzo che poi sarà moglie e madre di suo figlio, Francesco .Il testo è appassionato, reale, senza fronzoli o ricerca di facili rime, ilpianoforte la fa da padrone,
seguito poi da un’orchestrazione leggera di ritmica ed archi. Il cane citato nel testo è lo stesso che torna in “Dimmelo tu cos’è”, che verrà pubblicato nel 1982 nell’album “Sotto la pioggia”.
Segue “Santa Brigida”, canto popolare contadino rivisitato, con una ricca e composita orchestrazione, poi “Attila e la stella “, dall’andamento acustico e morbido ed arricchito dalla fisarmonica e dai cori che racconta dell’arrivo del re
degli Unni a Roma, con il refrain “la la la la” che rimane impresso nella memoria. “Compagno di scuola” è un omaggio al Venditti adolescente, a tutti i ragazzi accomunati dall’esperienza liceale , forte, comune, un fermo immagine su noi tutti
in quei giorni gloriosi fatti di ideali, di noia, di primi amori, di Dante Alighieri e di vicini di banco che chissà che vita hanno, oggi. Mentre i primi rumori del ’68 si fanno sentire….
Di politica si parla ancora, ma in maniera assai più chiara e cruda in “Lo stambecco ferito”, bellissima canzone d’autore che racconta , ispirandosi a una vicenda realmente accaduta, una storia di violenza politica, di sopraffazione, di giustizia
proletaria, di polizia . Venditti racconta, e canta, e l’orchestrazione, il pianoforte in primo piano, segue e sottolinea momenti di grandissima tensione drammatica.
Chiude l’album la divertente, beffarda ironica “Penna a sfera”, dedicata ad un giornalista di una rivista musicale molto seguita in quegli anni, “Ciao 2001”, ma più in generale a tutta quella stampa che criticava il fatto che un artista di
sinistra potesse essere benestante. L’andamento è uptempo, il tono divertito, quasi recitato, e il povero “Penna a sfera “ne esce piuttosto malconcio.
“Lilly”è un disco appassionato, sincero ,, articolato, che chiude una prima fase artistica e di ricerca e che al tempo stesso apre la carriera professionale di Venditti al successo e alla notorietà.

 


 

 

VAN MORRISON – BLOWIN’ YOUR MIND

blowin

Il 1967 ha rappresentato un’annata eccezionale per la musica rock, tanto che numerose pubblicazioni sono state dedicate alla produzione musicale di quei 365 giorni portatori di una magia speciale. Proprio nel redigere una lista dei
quaranta album essenziali del 1967, la nota rivista “Rolling Stone” non ha potuto fare a meno di includere Blowin’ Your Mind!, il disco che ha aperto l’esperienza solista di Van Morrison.
Lasciati i Them nel marzo dello stesso anno, il cantautore irlandese era subito entrato in sala d’incisione per registrare i brani che avrebbero poi costituito il suo album di debutto, pubblicato in settembre.
Blowin’ your mind non è certo l’album della piena maturità artistica ed espressiva di Van Morrison, c’è però, in nuce, l’accostamento eclettico di generi e linguaggi che rende unica la produzione del cantautore
irlandese: potenza soul e tradizione celtica, folk orfico ed energia blues rock di fine anni Sessanta.
Brown Eyed Girl. L’album è aperto con convinzione da quello che è ancora oggi il più grande successo di Van Morrison.
La struttura del brano è semplice e tipica delle produzioni di Bert Berns, tre accordi ed uno spensierato sapore tropicale.
Il contributo di Morrison si fa evidente nel testo, racconto di una storia d’amore dalle tinte bucoliche. Interessante il bridge strumentale guidato da un basso imponente, oltre al celebre riff di chitarra e al ritornello, impreziosito dal
contributo del quartetto soul The Sweet Inspirations, che rendono il brano inconfondibile.
He Ain’t Give You None riesce ad unire spunti gospel alla schiettezza del rock, in un risultato che sembra anticipare le sonorità di Domino (successo del 1970), e lascia anche trasparire un certo sentore dylaniano (del Dylan della cosiddetta
trilogia elettrica, per la precisione). La volontà di Morrison di dare al brano un’impronta di freschezza ed improvvisazione è resa evidente dal fatto che l’interazione con la band (il Let’s go Eric! lanciato al chitarrista Eric Gale prima dello
strumentale) sia lasciata intatta in tutta la sua splendida naturalezza. Il testo raccoglie ancora ricordi di un giovane amore, una little girl come la chiama Morrison, con una ricchezza di riferimenti temporali ed anche topografici che è tipica della poetica del cantautore irlandese.
T.B. Sheets è, con i suoi quasi dieci minuti di durata, la traccia più imponente, ed anche più suggestiva, dell’intero album.
Il brano descrive con crudo realismo l’estrema visita a Julie, l’amata che sta per essere strappata alla vita dalla tubercolosi. Il dolore del narratore trova espressione in una riscoperta delle radici più tragiche del blues, con il pianto di un’anima
impotente di fronte alla cieca crudeltà della morte. . La malasanità dell’ambiente si fa sempre più pesante ed insostenibile, il senso di claustrofobia sempre più spesso, il visitatore (e così l’ascoltatore) non vede l’ora di fuggirne per tornare alla
vita brulicante della strada. Open up the window and let me breathe, implora di fronte alla moribonda sempre più affaticata nel respiro. L’incipit caotico della musica è ormai diventato un corposo tutt’uno con la voce possente di
Morrison, affiancata da un’armonica disperata in un tragico viaggio ai confini dell’umanità, coinvolgente e straziante per chi si trova in ascolto.
Spanish Rose. Un’altra canzone firmata da Van Morrison apre il lato B del disco recuperando, dopo le tinte tragiche di T.B. Sheets, la spensieratezza contagiosa di Brown Eyed Girl. Come quest’ultima, Spanish Rose si muove su tre accordi ed
è animata da un caratteristico gusto latino, sottolineato dalla presenza vivace del mandolino. Il testo canta la bellezza delle piccole cose che compongono una giovane storia d’amore, nel più perfetto stile Morrison: una straordinaria
ricchezza di dettagli che non mancano di rammentare momenti, luoghi, parole scambiate e gesti condivisi, in un trionfo
di piccole grandi gioie quotidiane. Goodbye Baby (Baby Goodbye) è uno dei soli due brani di Blowin’ in your mind! a non contare sulla firma di Van Morrison.
Scritto da Wes Farrell e Bert Russell, è un pezzo rhythm & blues tuffato nell’atmosfera rock della seconda metà degli anni Sessanta, il cui ritornello rivela un gusto di eco gospel mutuato dall’originale di Solomon Burke. La tematica del testo -­‐
ricordi di un amore ormai finito -­‐ potrebbe sposarsi bene con quella generale dell’album se non lasciasse, però, trasparire uno scarto sensibile rispetto alle raffinate liriche di Morrison, che cominciavano ad operare un’unione portentosa di
veemenza soul ed intensità folk.
Ro Ro Rosey è un’altra canzone -­‐ ancora un racconto, stavolta più leggero, di un amore giovanile -­‐ la cui essenzialità armonica è mossa da un’atmosfera di spensierata solarità. La produzione di Berns, però, non riesce a non tradire
un’ispirazione forse troppo letterale: il riff di chitarra sembra una rilettura in chiave acida tipicamente Sixties di quello celeberrimo de La Bamba.
Who Drove the Red Sports Car?. Sulla solidità del piano, accompagnata da un suggestivo vacillare di chitarra, si innesta questo flusso di ricordi lucido ed al contempo lirico -­‐ come sarà sempre più usuale in Morrison. Anche nel caso di Who
Drove the Red Sports Car? il cantautore non fa a meno di riferimenti a personaggi, luoghi e momenti indelebili nella memoria. Lo fa abilmente: la narrazione non perde mai la sua caratteristica, raffinatissima, vocazione poetica.
Midnight Special vede Van Morrison cimentarsi con un pezzo tradizionale folk, interpretato nel corso del tempo da innumerevoli artisti (i più disparati: da Lead Belly agli ABBA, passando per i Beatles e i Creedence Clearwater Revival),
secondo gli studiosi originariamente cantato nelle prigioni del Sud degli Stati Uniti. La rilettura di Morrison è eccezionalmente funky, impreziosita prima dall’armonica e poi dalla chitarra, entrambe ispirate nel muoversi
sinuosamente intorno alla voce. L’apporto vocale di Morrison è infatti l’aspetto più interessante di quest’ennesima rivisitazione di Midnight Special: il cantautore irlandese si concede una libertà esplosiva sopra le parole della tradizione,
con energiche improvvisazioni degne di un jazzista. Era, evidentemente, proprio al jazz che Van Morrison cominciava a guardare; lo avrebbe reso ancora più chiaro con la pubblicazione, l’anno successivo, del suo capolavoro, Astral Weeks.

 

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