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LEGACYPEDIA 4.0 – settimana #6

19 Mar 2015

EDOARDO BENNATO – BURATTINO SENZA FILI

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E’ il 1977 e in Italia esplode “Burattino senza fili”, un concept album geniale,  irriverente, di facile comprensione eppure a molti piani di lettura.

Tornano Pinocchio, i gendarmi e Mangiafuoco, ma ammantati di significati politici, sociali filosofici seppure di facile ascolto anche ad un orecchio che “non vuole pensieri”.
Il successo è immenso, l’album vende 1 milione di copie ed è il disco più venduto del 1977.
Così Bennato usa la favola di Collodi per raccontare le storture del potere, della legge, per riflettere sulla condizione femminile, per irridere gli imbroglioni che vivono alle spalle della gente.

Il disco inizia dalla fine della favola, e con “E’ stata tua la colpa” Bennato domanda al burattino se davvero è valsa la pena di diventare “carne e ossa” ed entrare a far parte del mondo reale  per poi finire intrappolato nei fili della legge,della quotidianità, del potere ingiusto e cieco. Chitarra e armonica accompagnano la voce dolente di Bennato in questa ballad .

Si entra nella favola con “Mangiafuoco” , e il ritmo si fa sostenuto, il basso elaborato, la chitarra ritmica e le percussioni accompagnano il testo che racconta di come Mangiafuoco  punirà chi non vorrà accettare il suo ruolo di marionetta. E chi vorrà muoversi senza fili, attenzione, verrà bollato come “”Pazzo”. La critica alla omologazione è fin troppo chiara, e la voce di Bennato si muove e balla proprio come una marionetta  libera tra le note. Il brano è ipnotico, divertente.

Cambiano i toni con “La fata”. L’arrangiamento del pezzo predilige suoni delicati, le chitarre arpeggiano mentre Bennato racconta con toni ugualmente delicati, attraverso la metafora della fata, la figura femminile. Madre sorella e amante da sempre, e da sempre attaccata e prigioniera. Da sempre, quella che “paga di più”.

Un indiavolato rock and roll , “In prigione, in prigione” accompagna la voce dai toni divertiti ed ironici di Bennato, che nei panni di un giudice inflessibile condanna tutta la gente che ha l’ardire di provare a muoversi nella società in maniera civile ed onesta alla prigione. “In prigione, in prigione, e non do’ spiegazione”, è la divertente e salace frase di chiusura del pezzo.

Un bellissimo arrangiamento “mozartiano” ed una intera orchestra  con tanto di ricche sezioni di archi, fagotti e controfagotti e tutto ciò che è d’uso,accompagnano la divertentissima canzone “Dotti, medici e sapienti”. Questa volta sotto la lente del cantautore ci finiscono tutti i falsi sapienti, i colletti inamidati della cultura, quelli paludati dietro le loro cattedre. E Bennato cambia vari registri di interpretazione in questa divertente pantomima, sembra quasi di vedere una folle opera teatrale, i personaggi ci sono tutti. Anche quella di un giovane timido che “non è andato a scuola” ma che ha la giusta cura per il ragazzo “malato” visitato dai sapienti in questione: scappare via, il più lontano possibile dalla melma culturale in cui si trova.

“Tu grillo parlante” si apre come una country ballad con tanto di armonica a bocca per poi sfociare in un  blues  piu sostenuto mentre il cantautore introduce la figura del saggio, noioso, legnoso grillo parlante che invita tutti a tenere toni più contenuti, alla saggezza e all’educazione, mentre intorno a lui esplode la festa, e magari pure un po’ di violenza. Anche qui la metafora è ben chiara, e si ripete la derisione e l’ironia nei confronti di chi ci vuole indicare sempre la retta via.Il disco continua con il brano forse più famoso , “Il gatto e la volpe”. Ancora sonorità americane, rock and roll  anni ’50 in un pezzo estremamente “felice” in cui il gatto e la volpe stanno a simboleggiare tutti i furbacchioni – in questo caso parliamo di discografici, ma il concetto è piu ampio – che sfruttano l’ingenuità di chi non sa, per farne un sol boccone, per continuare ad usare termini da fiaba.

“Quando sarai grande”  e “Dotti medici e sapienti instrumental”chiudono  il cerchio di questa opera artistica coerente e compatta, tra le migliori del cantautore .napoletano. Quando sarai grande capirai tutto, cosa succede e perchè, capirai il senso di questo immenso gioco che è la vita. Ma per ora resta in fila, e cammina ordinato. Questo è il senso della canzone a cui Bennato affida il compito di concludere il concetto, di chiudere il cerchio.

Un inno alla ribellione e all’omologazione che è ancora e più che mai attuale.


 

JUDAS PRIEST – DEFENDERS OF THE FAITH

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Per chi volesse capire, davvero, cosa sia l’Heavy Metal, ecco a voi la Bibbia, la Parola.
Custodi, difensori della Fede Metal i Judas Priest, band britannica che per decenni ha cavalcato questa bestia furiosa e  l’ha dominata come pochissimi hanno saputo fare.

Siamo nel 1984, e i Judas Priest, già nell’olimpo musicale grazie ad album come “British Steel” del 1980 e “Screaming vengeance”, del 1982,  pubblicano un album capolavoro, considerato da tutti come il manifesto più puro e riuscito del Metal : Defenders of the Faith.  Titolo che vuole essere dichiarazione di intenti, fede assoluta, dedizione totale alla causa.
Il risultato è un capolavoro, un album potente, scolpito, dove ritmo, melodia e tecnica impareggiabile si fondono in un torrente di ottima musica. Impossibile ascoltare questo disco restando seduti, difficile non lasciarsi andare all’head
banking rischiando di fratturarsi la testa pur restando in piedi, stupefatti all’ascolto di ritmiche incalzanti, riff da antologia.

Il disco si apre con con la potente “Freewheel burning”, una corsa veloce su un’autostrada per l’inferno sostenuta da riff  velocissimi di chitarra del duo Tipton e Downing, mentre la voce di Robert Halford tuona potente. Si percepisce che
siamo di fronte ad un classico da subito, e questa sensazione viene immediatamente confermata da “Jawbreaker”.
Traccia epica, ritmo serrato, metallo fuso scende dai riff di chitarra potenti e duri come asce che si incastonano alle ritmiche. Il suono è lucido, il risultato devastante.

“Rock hard, ride free” è un inno solenne da cantare tutti insieme, un pezzo anthemico si, ma anche uno stile di vita, un grido di libertà assoluta. Il brano è stato rifatto su un altro dei JP, “Fight for your life” , poi modificato in questa
riuscitissima versione .
Arriviamo così a “The sentinel”, un classico dell’heavy metal. Le immagini delle sentinelle pronte, appostate tra buio e luce in questa dark song in cui va segnalato il duello solistico delle due chitarre al centro del brano, mentre la voce di
Halford, inarrestabile, sale di diverse ottave in un crescendo epico di chitarre e ritmiche.

“Love bites” è un brano controverso, interessante. Cupo, gotico, un midtempo dal ritmo sincopato che racconta i pensieri più tortuosi e torbidi Robert Halford, mentre si torna a ritmi più veloci con “Eat me alive”.
Traccia di grande potenza, molto aggressiva, adrenalinica, con un ritornello volutamente grezzo ed efficace, si chiude con le urla animalesche finali di Halford, da brivido.
“Some heads are gonna roll” è scritta da Bob Halligan jr, che aveva già regalato alla band “Take these chains”, pubblicata in “Screaming for vengeance”. Potenza melodica, ritmo coinvolgente, chitarre che mordono, voce distruttiva
rendono questo brano un classico dei classici, mentre più atipica per i Judas Priest è la ballad “Night comes down”, dove Halford usa toni meno usuali e la voce si fa calda, espressiva in un brano malinconico, crepuscolare, emozionante.

“Heavy duty” e “Defenders of the faith” si fondono in una sola traccia che chiude questo album/reference.
“Heavy duty” è un inno furioso, tecnicamente perfetto, dove caos primordiale, sudore e musica si fondono in un’unica voce che potrà sfogarsi con “defenders of the faith”, brano che assume proporzioni gigantesche nei live, quando il
pubblico di fedeli dei Judas Priest, a mani levate, canta a gran voce questa canzone.

Sembrava impossibile superare il successo e la caratura del precedente album in studio “screaming for vengeance”, invece questa band icona, composta da musicisti straordinari e forsennati ha tracciato un segno profondo e indelebile nella terra del Metal per sempre, con questa opera che lascia il segno e molta terra bruciata intorno.

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