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Legacypedia 4.0 – settimana #30

10 Sep 2015

IVANO FOSSATI – MACRAME’

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Con il termine “macramè” ci si riferisce ad una stoffa pregiata, nata dall’antica usanza araba di intrecciare e annodare fili di varie grandezze, fino a creare una trama raffinata e assai preziosa. Un tessuto  fatto di innumerevoli filamenti  e colori, ogni volta unico ed irripetibile, che mani sconosciute hanno raccontato .

E dalle terre d’oriente queste  merci  di valore hanno raggiunto via mare la nostra terra, e  nel porto di Genova hanno narrato i loro incanti. E da Genova parte il canto  di nuovi intrecci e nuove storie, grazie alla voce di un poeta che si chiama Ivano Fossati, e al suo invito ad immergerci in “Macrame”.

Dopo tre anni di silenzio che lo distanziano dalla pubblicazione degli album live “Buontempo” e “Carte da decifrare”, nel 1996 Fossati torna in studio alla ricerca altri linguaggi e nuove sonorità. 

Ha voglia di ripartire, è curioso, sente l’urgenza di raccontare sperimentando impianti sonori diversi, le parole fluiscono, pietre preziose, come sempre, ma cercano nuovi percorsi, frutto da nuove esperienze. 

E allora eccole le canzoni, fili sottili e forti che  formano disegni cangianti, che parlano con semplicità e sconvolgente profondità di “sentimenti , persone, parole che dimentichiamo”. Fossati crea le sue melodie e ci incastona parole, versi, formando  nodi che tentano di fermare queste sensazioni, per poterle guardare da vicino, per poterle raccontare e sentire davvero, intensamente.

Apre l’album “La vita segreta”, che si muove tra percussioni e flauti di sapore orientale e continua il suo cammino oscura e tesa, uno sguardo intenso verso un orizzonte sconosciuto, la “vita segreta” fatta di cadute rovinose, ferite “da incassare”. I suoni caldi del mediterraneo si intrecciano al sax di Mario Arcari, all’organetto suonato da Riccardo Tesi.. Il pianoforte scandisce un susseguirsi di note sospese, le percussioni si muovono ipnotiche mentre il cantautore ripete come un mantra segreto “ferire,incassare”.

Autoreverse, leggere percussioni, delicate, introducono “Il canto dei mestieri”, splendida canzone da riascoltare più volte per poterne assaporare il testo, di rara bellezza, che consegna ancora una volta Ivano Fossati all’Olimpo benedetto dei Poeti, perchè questo è il suo Mestiere. 

Si sente la cura meticolosa e l’amore che i musicisti hanno profuso in ogni battito, in ogni nota. 

Walter Keiser , Trilok Gurtu, Claudio Fossati alle percussioni e alla batteria aiutano queste atmosfere di deserto e di vento a salire al cielo. 

Il testo de “L’amante” è una incursione in apnea nel mondo dell’amore. I movimenti fluidi, proditori del sentimento più forte del mondo cantati con quel modo, così personale,di scandire le parole, gocce roventi di passione, irresistibili, regalano intensità ad ogni frase.

E’ un film in bianco e nero, fortemente contrastato, la traccia “L’abito della sposa”,scritta con Tony Levin, che qui accompagna al basso. La storia si snoda tra immagini brulle e disperate, volti che si muovono al rallentatore, accompagnate da un arrangiamento di forte complicità emotiva. Sarebbe un errore cercare di raccontarne la storia, che l’anima di ognuno degli ascoltatori saprà leggere e commentare.

“L’angelo e la pazienza” è un passo di tango. Elegante, scarna, calda e sensuale, si snoda, nota dopo nota, sottolineata dall’organetto di Riccardo Tesi che amplifica questa atmosfera di terra d’Argentina. Cosa è l’amore, cosa si può dire, come si vive l’amore? Suggestioni , suggerimenti appena abbozzati ci indicano la giusta strada, o ci aiutano in questo eterno smarrimento. 

“Labile”, più ritmata e solare, è ancora un tentativo di stringere i nodi che trattengono il nostro sentire, ancora una volta, per poter poi guardare avanti con maggior consapevolezza, o con meno nostalgia. 

“Bella speranza” vede al contrabbasso elettrico Tony Levine, che insieme al pianoforte dello stesso Fossati travolge per l’emozione che riesce a donare. Frasi che brillano come diamanti al sole, indimenticabili, “Le persone non cambiano, è che col tempo il tempo che le complica più di un po’” “Solo un grande dio può accudire  disperati, in un luogo così”. Si parla di dolore, di immensa solitudine, di desolazione, di guerra. Di ombre che scivolano sui muri , svaniscono in un silenzio immenso e disperato . 

“L’orologio americano” , percussioni, chitarra classica, bellissima armonia, ci culla con la forza della sua espressività. Il tempo è un tema che il cantautore esplora da sempre. Lo racconta, lo percorre, danza sul suo ritmo continuo, e ancora una volta ne coglie il balenìo per un momento breve ed infinito.

“Stella benigna” vede ancora l’autore collaborare con Tony Levin. Il ritmo è asciutto, stringato, e si allarga nel ritornello, morbidamente soffuso di suggestioni latine e fioriture jazz. L’intesa collettiva dei musicisti è palpabile, mentre “La scala dei santi” è una bellissima canzone, introspettiva, meditativa, cantata sulla punta di un accompagnamento leggero, impreziosita dagli inserti al sax di Mario Arcari. 

“Speakering”, una meditazione sulla guerra, chiude questa bellissima opera, preziosa, che ci lascia più ricchi, esausti dal molto aver provato e al tempo stesso desiderosi di riprendere l’ascolto, per assaporare tutti i colori che Ivano Fossati è riuscito a comunicarci con chiarezza, con una capacità espressiva e poetica magistrali, con un talento  di  saper “sentire” davvero fuori dal comune. 

 


 

 

KORN – UNTOUCHABLES

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Uno dei gruppi più interessanti emersi negli anni ’90, per la forza innovatrice impressa alla scena “nu metal” statunitense dell’epoca.
Questo è il loro quinto album, il primo uscito nel nuovo millennio, dopo la fama ultra-consolidata che furono capaci di crearsi con i precedenti, nell’ultima decade del novecento e dopo una pausa durata tre anni per problemi occorsi al batterista.

La line-up è quella originale: Jonathan Davis alla voce, James “Munky” Shaffer  e Brian “Head” Welch alle chitarre, Reginald “Fieldy” Arvizu al basso e David Silveira alla batteria.

L’album contiene 14 tracce ed è prodotto da Michael Beinhorn (Hole, Marilyn Manson, Soundgarden, Ozzy Osbourne) grazie al cui apporto, la band riesce ad espandere maggiormente le frequenze sonore più alte del loro suono con elementi elettronici e sinfonici, pur mantenendo il ronzio sonoro tipico delle loro chitarre a 7 corde impastate col basso slappato.

Le sessions di registrazione cominciarono nel 2001 e durarono quasi 2 anni, facendo esorbitare così i costi a livelli faraonici.

La band mostrò coraggio nel voler sperimentare nuovi suoni più “matrix” raccogliendo inoltre parecchie critiche positive dalla stampa specializzata, soprattutto per una ricerca più mirata alle linee melodiche dei brani.

L’album si apre con uno dei tre singoli estratti, ossia “Here To Stay” (vincitore di un Grammy Award) con le chitarre accordate di parecchi toni sotto e con un riff incalzante e monolitico.

Gli altri due singoli sono “Thoughtless”,(traccia 6) una canzone che parla di bullismo a scuola e “Alone I Break” (traccia 9), una power dark ballad con sia la voce che le 14 corde del tutto ripulite e addolcite e una batteria dal suono sintetico.

Degne di citazione sono anche “Make Believe” (traccia 2) brano dal sapore gotico e teatrale, “Hollow Life” (traccia 4) con reminiscenze alla Depeche Mode e l’intensa e maestosa “Hating” (traccia 7).

Nel complesso, un album dove la band raggiunge l’apice della sua maturità artistica a tutto tondo.

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