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Legacypedia 4.0 – settimana #19

25 Jun 2015

JAMIROQUAI – EMERGENCY ON PLANET EARTH

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Nel 1993 in Inghilterra veniva registrato l’album di debutto Emergency on Planet Earth della band Jamiroquai. Un’opera prima che seppe subito suscitare l’attenzione di un pubblico eterogeneo e le lodi della critica.

Il Pianeta Terra è nel titolo dell’album e si fa protagonista di ogni traccia – quello cantato da Jay Kay, frontman fondatore e spirito del gruppo, è un programma ambientalista che usa la musica per catturare chiunque sia in ascolto. E la musica si veste dunque di tinte forti e cangianti, di divertimento, presentando nel miglior modo possibile una band che, fin dall’inizio, si dimostrava diversa. Diversa da quello che era già in circolazione ma anche, traccia per traccia, diversa da se stessa. Una band di fieri abitanti del Pianeta Terra in continua evoluzione.

Il primo singolo When You Gonna Learn è un perfetto concentrato del sound e della filosofia della band.
Dito puntato contro l’uccisione della vita che ogni giorno è perpetrata sulla Terra in forme innumerevoli e spietate, un inno ambientalista e animalista vivace e convincente. Così il video che l’accompagna: il gruppo concentrato a suonare, Jay Kay in primo piano e intanto si alternano filmati di disastri ambientali, animali violati, abusi e soprusi disumani. Già, perché l’uomo esce da When You Gonna Learn come – giustamente – la bestia peggiore di tutte. Ma a farcene notare le ragioni, ad incalzare una scossa necessaria, non è la solita predica stinta, ma una musica solare e coinvolgente. Perché per parlare di Terra, ci fanno intendere i Jamiroquai, bisogna pensare ad un pianeta unito e non a piccoli orti tenuti separati: allora la canzone si fa introdurre dal magnifico didgeridoo di Wallis Buchanan, lo fa seguire da archi eleganti e poi trova la sua vivace natura funky.

Secondo singolo estratto da Emergency on Planet Earth, Too Young To Die è una delle più interessanti composizioni presenti nell’album. Di nuovo archi e fiati a fare da infiltrati di lusso ad un tessuto musicale dal groove seducente. Dirigono le danze il basso sinuoso e la voce di Jay Kay, leggera e libera – nei ritornelli – anche delle parole: si muove con un’abilità di stampo jazzistico. Nelle mire del testo , stavolta, ci sono guerre e logiche politiche. Too Young To Die è allo stesso tempo un faro puntato contro una realtà spaventosa ed una fiaccola di speranza.
Scritta – come la maggior parte delle tracce dell’album – da Jay Kay insieme al tastierista Toby Smith, Hooked Up afferma che la musica è la più potente e irrefrenabile delle droghe, e lo fa supportata da un complesso intreccio sonoro che dà vivacemente ragione al testo. Tastiere e chitarre, percussioni scalmanate, un basso schiaffeggiato con travolgente maestria, e fiati da grandi occasioni a guidare il tutto. “Dance to the music” ripete Jay Kay, e non si può certo rifiutare.
Opera di Jay Kay e del batterista della band Nick Van Gelder, If I Like It, I Do It è un manifesto di anarchia funky . Il testo professa la loro libertà da regole e conformismo, e rivendica la libera espressione come salvaguardia per l’anima. La musica che l’accompagna, e spesso e volentieri lo sovrasta, ne è la prova più infallibile. Racchiude uno stile, una filosofia, che non va spiegato ma inteso: quel “groovin’” ripetuto a fine ritornello che, com’è giusto che sia, non conosce una degna traduzione.

Pausa strumentale , Music of the Mind è una delle tracce più affascinanti dell’intero album, una prova dell’abilità e della coesione dei diversi membri della band. Parte come una raffinata esposizione di jazz in salsa ambient e comincia a muoversi sognante finché, dopo poco più di due minuti, s’indirizza verso un ritmo vorticoso. Per l’ascolto di Music of the Mind si consiglia, come suggerisce il titolo, una mente sgombra e la più concentrata attenzione: la musica farà il resto, dando via al volo.
Sostenuta da un incalzante groove jazzistico, Emergency on Planet Earth è un pressante invito a porre un freno alla cosiddetta modernizzazione. E’ una fotografia impietosa, ovvero qualcosa di cui al mondo c’è bisogno; il testo è più conciso che altrove, ma di grande efficacia: alterna scomodità di fatto (“white gets two and black gets five years”) ad intuizioni penetranti (“a little boy in hungry land, is just a picture in the news…won’t see him in that TV advertising, ’cause it might put you off your food”). Semplicemente, Emergency on Planet Earth è qualcosa che tutti dovremmo fermarci ad ascoltare, capire e meditare.

La settima traccia ha un titolo che può essere letto come un riassunto della musica dei Jamiroquai: Whatever It Is, I Just Can’t Stop. Non si possono tener fermi i piedi, o soffocati gli spiriti, quando un funk come questo risuona nell’aria. Scritta interamente da Jay Kay, la canzone è un duetto tra la sua voce divertita ed il basso eccitato di Stuart Zender.
Un’atmosfera più raccolta, ammaliante, accompagna il terzo singolo estratto dall’album, la fascinosa Blow Your Mind, un invito a perdersi nei tanti suoni che s’introducono con eleganza . E’ con simili idee, così espertamente messe in musica con savoir faire di pop ingegnoso, che i Jamiroquai si sono guadagnati un
posto speciale nel mondo dell’acid jazz.
Revolution 1993 condensa in dieci minuti forsennati le tematiche affrontate da Emergency on Planet Earth: guerre, povertà, ipocrisie, ingiustizie e cecità nelle loro più perverse declinazioni odierne. Il messaggio di questa band dal suono potentissimo si riassume dunque in una parola, revolution, che qui si prova non un
ideale astratto ma una possibilità concreta per ognuno. Didgin’ Out: L’album si chiude come un cerchio ammaliante, con il ritorno del didgeridoo di Wallis Buchanan, autore del brano finale insieme a Jay Kay. Didgin’ Out è un evocativo saluto strumentale, un rapido respiro di grande effetto che chiama a raccolta le vocazioni globali dei Jamiroquai e della loro musica senza barriere.

 


 

ALICE IN CHAIN – FACELIFT

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Formatisi a Seattle nel 1987, gli Alice in Chains sono uno tra i gruppi seminali di quel movimento rock statunitense denominato “grunge” ma di matrice più “metal”, rispetto ai Pearl Jam e ai Nirvana.

Questo è il loro album d’esordio, pubblicato tre anni dopo, un anno prima di “Nevermind” dei Nirvana e di “Ten” dei Pearl Jam e rappresenta la genesi di una grande rock band. Le colonne portanti di tale band sono, senza dubbio, Jerry Cantrell (chitarra) e Layne Staley (voce), quest’ultimo scomparso nel 2002, anch’egli in circostanze tragiche e poco chiare, proprio come Kurt Cobain dei Nirvana, seppur con modalità differenti. Il suono della band assume una sua precisa identità grazie alla vocalità inconfondibile, originale, tormentata e cupa di Layne Staley, che ben si amalgama ed armonizza con l’impasto sonoro creato dalla chitarra di Cantrell, supportata dal bassista Michael Starr (anche lui tragicamente scomparso nel 2011) e dal drum-beat di Sean Kinney. L’album (il primo del genere “grunge” a divenire di platino) è composto da 12 tracce ed è prodotto da Dave Jerden (Jane’s Addiction, Fishbone, The Offspring). In copertina appare un volto deformato, e sul retro, l’immagine dell’intera band intrappolata in un cellophane, un’immagine inquietante ma quantomai riuscita.

Il brano di apertura “We Die Young” è una scheggia di dolore eloquente e fulminea, quasi autobiografica e profetica: la frustrazione di una generazione, condensata in 2 minuti e mezzo di denso heavy metal.
Scritto da Cantrell (autore di tutti i brani), il brano fu ispirato dalla visione di ragazzini sull’autobus che spacciavano droga coi cerca-persone dell’epoca.
La canzone fu il primo singolo estratto dall’album e divenne conseguentemente una hit nelle radio rock statunitensi.
La canzone successiva è il secondo singolo estratto, “Man In The Box”, che parla della censura dei media e grazie alla cui rotazione del video su MTV, la band cominciò a farsi conoscere meglio e per il quale fu premiata come “miglior video heavy metal/hard rock” agli MTV Video Music Awards del 1991.
“Sea of Sorrow” è la terza traccia, nonchè il quarto singolo estratto: grigia e claustrofobica, la canzone parla di una relazione finita.
“Bleed The Freak” (terzo singolo estratto e traccia 4), è un brano nel quale Cantrell mette in evidenza la vocazione anticonformista della band di voler andare contro il resto del mondo e tutti coloro che vorrebbero abbatterli.
“I Can’t Remember” (traccia 5) è una canzone attraverso la quale la band palesa al meglio la propria identità sonora, assai peculiare.
La complessa “Love, Hate, Love” (traccia 6), non a caso messa al centro della scaletta, è la sintesi del loro stile, fatto di stacchi, lamenti e pause, tesi ad innescare in seguito ripartenze “heavy”.  “It Ain’t Like That” (traccia 7) è forse l’unico brano con accento “grunge” dell’intero album. In “Sunshine” (traccia 8), si parla della morte della madre di Cantrell, un brano con accenti simil-Motley Crue nell’inciso.
In “Put You Down” (traccia 9) si continua con la vena glam metal, in questo caso più alla Guns ’N’ Roses.
Nella successiva “Confusion” (traccia 10) il ritmo rallenta di nuovo, quasi trascinandosi nella strofa per poi ripartire nell’inciso.
Seguono la traccia 11, “I Know Something’ (‘Bout You)” con un intro alla Jane’s Addiction e l’intensa “Real Thing” a chiudere la scaletta in grande stile.

 

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