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LEGACYPEDIA 4.0 – settimana #15

21 May 2015

SAMUELE BERSANI – SAMUELE BERSANI

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E’ un autore di grande spessore umano ed artistico, questo cantautore romagnolo, ed il suo terzo album, “Samuele Bersani”, pubblicato nel 1997, ne è un’ulteriore riprova.
Non è prolifico, Bersani, perchè scrive quando ha qualcosa da dire, e tra un discorso e un altro possono passare degli anni. Il disco è prodotto e pubblicato dalla Pressing, etichetta discografica di Lucio Dalla, che ammira e segue il lavoro con l’entusiasmo sincero che caratterizzava il suo modo di vivere la musica e la vita.
Ascoltando il disco si sente la cura e l’amore per ogni nota, ogni concetto espresso. Si avverte la consapevolezza del peso di ogni parola , l’urgenza di comunicare, e meno quella di conquistare la vetta delle classifiche. Anche se poi il pubblico lo premia, e non solo: “Giudizi universali”, che apre l’album, vince il premio Lunezia nel’98, un riconoscimento prestigioso presieduto da Fernanda Pivano che, con altri addetti ai lavori, premia il testo come il migliore dell’anno. Ed è significativo, perchè questa bellissima canzone affronta proprio il tema “parole”.
Le parole senza significato che usiamo ogni giorno, con leggerezza, che ci lasciamo sfuggire dalle labbra come vuote bolle di sapone, luccicanti al sole e pronte a scoppiare senza lasciar traccia, ma che “suonano bene”. Alzi la mano chi non è colpevole.
Il pianoforte inanella note come perle , la musica si muove ed accoglie l’ascoltatore , lo culla, lo trasporta nel mondo denso di significati e di passione, seppure quieta, trattenuta, eppure a tratti appuntita, dolorosa.
Il brano è parte della colonna sonora di “Chiedimi se sono felice”, di Aldo, Giovanni e Giacomo.
“Coccodrilli”, singolo che lancia l’album in airplay, ha un ritmo sostenuto, felice, le parole si susseguono, come legate l’una all’altra, una cascata di sensazioni, di situazioni, di metafore, di domande, impossibile restar fermi e non partecipare a questa danza scanzonata, trascinante.
“Tonight” poggia su un arrangiamento di chitarre ritmiche e riff , arpeggi e synth. Improvvisamente veniamo sorpresi da un inserimento di chitarre spagnoleggianti, latine, che si muovono forsennate, un momento di felice impazzimento musicale, mentre le parole raccontano di come è difficile capirsi e trovarsi, con gli altri, con noi stessi.
“Braccio di Ferro” Che bello questo brano, una ballata pop con qualche sapore jazz, che da subito ci rapisce e ci fa testimoni di questo dialogo affettuoso ed intimo. Il vecchio Braccio di ferro è un po’ in disarmo, è un amico che ha bisogno di tenerezza e di essere ascoltato, che ci trattiene in una
stretta forte e malinconica. Le parole sono preziose, splendono di commovente sentimento, ci restituiscono ancora e ancora la convinzione che siamo davanti ad un grande autore. “Coppa Uefa” risente dell’influenza artistica di Lucio Dalla. Il ritmo è scandito, le tastiere fanno da tappeto, il testo è a volte oscuro, criptico, obliquo. Immagini e pensieri si sovrappongono, carrelli dal supermarket, serie tv, e Dio che non si innamora di noi.
“Lolita” , come l’eroina del romanzo di Nabokov è un’adolescente tentatrice, una fresca folata di vento malizioso, che ti avvolge e ti spettina. Insolente ragazzina, incontenibile tormentatrice che gioca con gli uomini, appare, scompare, e il gioco continua…
“Crazy boy”, scritta per Fiorella Mannoia, che inserì il brano nell’album “Gente comune” nel ’94, è ripresa dal cantautore, e riproposta con la partecipazione della Piccola Orchestra Avion Travel.
Alternandosi con Peppe Servillo, Bersani racconta la piccola storia, magica e delicata di Crazy Boy, un giovane lavavetri, figlio di un muratore egiziano, che si aggira solo in un museo di arte antica sognando di essere un faraone, parlando con statue millenarie, indossando antiche maschere greche, cercando la sua stella , unica, accesa solo per lui.
“L’istinto” si muove su un tappeto di percussioni, e tastiere, l’oboe disegna discreti arabeschi, il ritmo si impenna e si scioglie, mentre Samuele Bersani parla d’amore a suo modo, il fuoco è sotterraneo, nascosto sotto bellissime metafore di sensazioni di smarrimento. Se ci si perde, solo l’istinto ci porta fuori dai guai. “La risposta” è una rock ballad uptempo, che parla d’amore, e come sempre privilegia un linguaggio obliquo, che lascia libero spazio all’interpretazione di chi è all’ascolto. Qual è la risposta?
“Figlio unico 72” si apre con la voce di un bimbo alle prese con i primi tentativi di composizione musicale. La chitarra è suonata a caso, nessun accordo, le parole buttate lì, tra il già sentito e l’inventato. Un piccolo Samuele che arriva dal passato?
“Barcarola albanese” L’arpeggio del pianoforte, delicato, scarno, intenso, apre la canzone ed è , insieme agli archi, l’unico accompagnamento al testo della canzone , che racconta la storia di un profugo albanese, dei suoi sogni e dei suoi miti traditi . Il tema drammatico è raccontato con un linguaggio ridotto al minimo, e l’effetto è ancora più toccante.


LOU REED – TRANSFORMER

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Ogni album possiede una propria storia, una storia più o meno articolata, più o meno affascinante o coinvolgente, a volte sorprendente oppure confusa, ambigua o difficilmente ricostruibile: per definire la storia di “Transformer” di Lou Reed si potrebbero tranquillamente usare due termini, tortuosa e multiforme che perfettamente descrivono il percorso creativo che ha definito l’album e le infinite implicazioni che questo contiene sia musicalmente che contenutisticamente. Dopo aver chiuso nel 1970 la sua esperienza con i Velvet Underground, Lou Reed si concentrò su una carriera solista tutta ancora da immaginare ed inventare, il primo sostegno ed appoggio per un tentativo di riposizionarsi come musicista, gli venne da Richard Robinson, fumoso personaggio che assieme alla moglie Lisa gravitava nel mondo della musica, il un notevole grado di credibilità di cui godeva derivava probabilmente dall’attività giornalistica della signora Lisa, importante firma di testate come Creem, New York Post, NME.  Il primo progetto autonomo di Reed vede Richard Robinson nel ruolo di produttore, ma è proprio lo scarso valore del risultato finale e l’insoddisfazione dello stesso Reed a convincere i dirigenti della RCA ad accogliere l’inaspettata offerta di David Bowie di curare, seguire e produrre quello che sarà il secondo capitolo della carriera solista del cantante newyorkese. Bowie convincerà Lou Reed a trasferirsi momentaneamente a Londra per fargli assaporare quella scena allora dominata dal glamour rock, da gente come Gary Glitter, Marc Bolan ed dai suoi T.Rex oppure da gruppi come Sweet, Slade e perché no, anche Roxy Music; naturalmente il modello originario e di riferimento per quei musicisti rimaneva David Bowie. A giudicare dal suo successivo percorso artistico può oggi sembrare impossibile, eppure Lou Reed visse una sorta di osmosi con quella scena musicale tanto da incidere brani decisamente glamour, primo fra tutti ‘Vicious’ che apre il suo stellare, immortale, splendido “Transformer”. Sebbene la produzione fosse affidata a Bowie, il vero produttore musicale dell’album fu Mick Ronson collaboratore storico di Bowie, arrangiatore dei suoi brani nonché suo effervescente chitarrista. E’ proprio il sapore dell’intero progetto a rispecchiare l’idea musicale di Ronson e lo si avverte soprattutto nei brani più assimilabili ad una forma di glam rock. Mesi dopo la pubblicazione di “Transformer”, Lou Reed si lamentò non poco del fatto che soprattutto negli States il nuovo lavoro e l’indiscutibile sua caratura fossero subdolamente attribuiti all’apporto di Bowie e alle capacità di Mick Ronson come  produttore di sala, arrangiatore, chitarrista, nonché pianista, perché in uno dei gioielli dell’album, ‘Perfect day’ è proprio Ronson a suonare il pianoforte. L’album si sviluppa su livelli e stili musicali diversi, se ‘Vicious’ è rock trascinante, ‘Perfect day’ è ballata lenta, avvolgente, sofisticata quanto elegante ed enigmatica. ‘Satellite of love’ rimanda, sebbene non troppo apertamente, ad un sapore cabarettistico più evidente e marcato in ‘Make up’ brano arricchito da un baso tuba esilarante. ‘Satellite of love’ era stata incisa, con un testo leggermente diverso, dai Velvet Underground nel 1970 per quell’album, “Loaded”, che segnò la fine della collaborazione di Reed con la band. Il pezzo non fu però inserito nell’album che conteneva due dei brani chiave scritti da Reed nel periodo Velvet: ‘Sweet Jane’ e ‘Rock & Roll’. Con ‘New York telephone conversation’ e ‘Goodnight ladies’ che chiude “Transformer” siamo in un mondo lontano dal rock, siamo al cospetto di una musica che cita la leggerezza, la spensieratezza tipica dell’avanspettacolo. Non potevano poi mancare canzoni rock come ‘Hangin’ round’, ‘Wagon wheel’ o ‘I’m so free’ nelle quali Reed sembra anticipare di alcuni anni la vivacità e lo spirito della scena new wave newyorkese quasi a voler annunciare Patti Smith, Blondie o i Television di “Adventure”. Quindi non siamo più nell’ambito di un discorso glam, siamo anzi all’interpretazione o visione e trasfigurazione di un glam elaborato negli States da personaggi come Iggy Pop di certo decisamente lontano dai luccichii e sfarfallii cari agli esponenti britannici. Inevitabilmente si arriva alla quinta traccia, al brano chiave dell’album: ‘Walk on the wild side’, pubblicato come 45 giri malgrado l’ostinata, incomprensibile contrarietà ed ostilità di Reed. Il pezzo ha avuto interpretazioni tra le più disparate sebbene la sessualità sia il tema certo. Travestiti, trasgender, sesso trasgressivo, omosessualità, tutto questo viene letto all’interno del testo che cita vari personaggi della Factory di Andy Warhol anche se, come spesso avviene nei testi della musica pop rock, l’interpretazione e focalizzazione della narrazione non possa essere mai certa ed univoca. ‘Walk on the wild side’ venne bandito da molte radio per i chiari riferimenti ad alcune pratiche sessuali. Questa censura non ostacolò però l’ascesa in classifica dell’album malgrado negli States “Transformer” venne boicottato dalla stampa musicale per una specifica volontà di Lisa Robinson che sfruttò la propria influenza sui colleghi critici, invitandoli a stroncare l’album. Evidentemente l’aver voltato le spalle al marito ed l’aver affidato la produzione del secondo album a David Bowie non era ancora stato digerito all’inteno della famiglia Robinson. A distanza di anni dalla pubblicazione l’album ha chiaramente perduto quell’aura provocatoria e scandalistica che lo aveva avvolto nel 1972, il discorso sul sesso ha nel frattempo trovato e raggiunto confini forse allora inimmaginabili  o ritenuti addirittura irraggiungibili, anche sull’edizione in CD per il mercato italiano si è ricuperata la copertina originale sul retro della quale appariva la foto di un uomo in jeans con una decisa erezione (o più probabilmente con una banana inserita sotto i pantaloni a livello del pube). Nel 1972 sulla stampa dell’LP, la RCA italiana aveva invece fatto inserire e sovrapporre sulla foto del retrocopertina una sorta di nastro su cui era scritto: ‘prodotto da David Bowie e Mick Ronson’, questa scritta andava a coprire naturalmente la zona pubica in questione. All’interno dell’ampia discografia di Lou Reed, “Transformer” è ad oggi l’album più venduto, il suo lavoro più immediato e fruibile costellato com’è di veri gioielli musicali. La collaborazione con Bowie non verrà però rinnovata, i lavori successivi di Reed avranno un diverso sapore e lo stesso musicista si rapporterà alla musica con un atteggiamento diverso, più impegnato e ricercato; eppure il credito e plauso ottenuti con “Transformer” non si dissolveranno mai perché all’interno di questo album coabitano i brani che hanno reso intramontabile Lou Reed e che ancora oggi sono riconosciuti come i suoi veri capolavori: ‘Perfect day’, ‘Walk on the wild side’, ‘Satellite of love’, ‘Vicious’.

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