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Legacypedia 4.0 – settimana #11

23 Apr 2015

RICCARDO COCCIANTECONCERTO PER MARGHERITA

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Nel 1976 Riccardo Cocciante, giovane musicista vietnamita di origine italo francese , vive e produce la sua musica in Italia, e ha già scritto capolavori, come “Poesia”, “Bella senz’anima”, “Quando finisce un amore”.
Il pubblico, la critica, hanno già individuato e apprezzato il suo temperamento artistico passionale, teso, a tratti rabbioso, e la sua vena compositiva pop, con qualche sfumatura di rock e di progressive.

Quando viene pubblicato “Concerto per Margherita”, l’album è la conferma di alcuni capisaldi stilistici dell’autore, e insieme mostra la volontà di ricerca, crescita e cambiamento, che ha poi caratterizzato le sue produzioni future.
Questa bella opera, che consacra definitivamente l’artista a stella primaria del panorama musicale italiano, è composta interamente da Cocciante. I testi e la produzione sono affidati a Marco Luberti, gli arrangiamenti sono a cura di Vangelis, che comincia a farsi conoscere in italia grazie a collaborazioni eccellenti (Endrigo, Baglioni) e che ammanta l’album di un lirismo poetico ,
pressante, fremente.

Apre il disco Nonostante tutto, parte 1. Una ricca orchestrazione, tastiere elettroniche, timpani, pianoforte introducono un’atmosfera sognante e sospesa . Un testo introspettivo sul senso della vita fa da introduzione al viaggio d’amore che ci porterà fino a Nonostante tutto, parte 2, che chiuderà il sipario.

Margherita, capolavoro riconosciuto e senza tempo, è un adagio romantico, che inizia in punta di piedi e diventa mano mano festante, trascinante, appassionato, la voce di Cocciante ci coinvolge in questa dichiarazione d’amore senza freni, che giunge all’apoteosi e poi si quieta,e l’inno al sentimento e alla donna lascia il posto alla ballad Sul bordo del fiume . Le chitarre e il pianoforte arpeggiano armonie delicate , il testo riflessivo ricorda figure del passato un padre duro, una
madre, un amico che ha tradito , l’amore, la passione, tutte cose che il fiume della nostra vita ha tracimato, portando via tutto, mentre noi restiamo a guardare , prima di riprendere la via.

Sempre in questa aurea di poetica elegia si muove Inverno, in cui i temi sono il riparo, il rifugio dal freddo e dai mali del mondo. Idea di amore puro e poetico, contrappunti di voci virginali che ricordano atmosfere lontanissime, di giovinezza perduta.

Segue Primavera, che suggerisce che l’intero album sia legato da un filo logico, o meglio sentimentale, sottile ma persistente, nei testi e nei suoni.
Primavera apre con suoni elettronici, e sfocia in una orchestrazione di gusto classico, gli archi e le tastiere elettroniche si fondono in una bellissima intro, poi inizia la bellissima poesia in musica di Luberti. E’ l’uomo ora che si fa figura consolatoria, riparatrice, custode e guerriero d’amore. La voce si fa via via carezzevole, tesa, potente, trascinante. L’arrangiamento di Vangelis sta a significare la forza vibrante dell’amore, un fiume in piena che non si ferma davanti a nulla.
E l’amore nella sua forma peggiore e più oscura è narrato nella dolente , lunare Violenza, che racconta il dolore dell’amore rubato, la viltà, e l’orrore, la solitudine di un atto vigliacco e ignobile.
La voce è colma di pietas, orchestrazione, cori, tutto sembra partecipare al grido , muto e roboante di chi è vittima di violenza.

Ancora conta su un arrangiamento di contrappunti , di arpe cristalline e di salite e discese, come il fiume descritto dalle parole della canzone, Quando si vuole bene è un brano in chiaroscuro, un crescendo di emozioni che si fa via via intenso e bruciante. L’amore ci rende unici, dei in un olimpo irraggiungibile dagli altri. La voce cresce e si fa roca, con quella rabbia passionale che contraddistingue lo stile di Cocciante. Quando si vuole bene davvero è bello persino questo mondo.
Quando me ne andrò da qui è una riflessione su quando non ci saremo più, sul senso della nostra vita, su questo circo senza senso . Chiude l’album la seconda parte del brano di apertura, Nonostante tutto parte 2.
Pianoforte, delicati suoni elettronici, archi , basso e percussioni e la voce che ripete “na na na na na “ all’infinito ci suggeriscono che il fluire della vita continua il suo ciclo, eterno e misterioso.

 


 

 

BRUCE SPRINGSTEENBORN TO RUN

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“Ho visto il futuro del rock’n’roll, il suo nome è Bruce Springsteen.” (Jon Landau, “Rolling Stones”, 1974).

Quando fu pubblicato l’album “Born to run” Bruce Springsteen aveva già alle spalle due album,, “Greetings from Asbury Park, N.J”, e “The wild, the innocent & the E Street shuffle”, entrambi nel 1973.
Critica interessata, pubblico tiepido o indifferente. Poi, molte vicissitudini con etichette discografiche, produttori, musicisti. La formazione della E Street Band, fondamentale per l’espressione del genio artistico del cantautore statunitense. Molta musica, molte esibizioni live, la linfa, la vera dimensione del Boss da sempre, l’incontro con il giornalista Landau, poi amico e manager, che darà una svolta professionale alla sua carriera.
E la preparazione di Born to run, atteso, attesissimo da pubblico e critica. Si parlava molto, ma poi fu la musica a parlare, e l’album aveva molto da dire. Disco epocale, pietra miliare del rock’n’ roll, fu un’epifania, fu nuovo, trascinante, commovente e liberatorio.
La vita e le sue amarezze, la delusione, la frustrazione data dalla mediocrità in cui si resta intrappolati giorno dopo giorno, la libertà, voluta con ferocia e determinazione, la voglia di riscatto, la fuga, sognata forse mai realizzata. Springsteen portò il rock’n’roll ad un nuovo livello. Diede voce alle classi sociali meno abbienti, agli operai, ai diseredati, a chi vive sulla strada. L’amore, il sogno, la rabbia, avevano un nuovo punto di vista, una nuova espressione, viscerale, seria, pressante, bruciante.
Il suo linguaggio diretto, semplice e di fortissimo impatto emotivo, capace di scavare un solco con una sola frase (“Don’t turn me home again, i just can’t face myself alone again”), il suono denso, poetico, potente, le bellissime composizioni, portarono alla luce una voce fondamentale nella storia della musica mondiale.

Posizionato al n. 18 tra i migliori 500 album di tutti i tempi, secondo la rivista “Rolling Stone”, l’album proiettò Springsteen nell’olimpo della musica, e diede il via ad una carriera che tanto ancora ha regalato al pubblico , per decenni.

Una evocativa intro al pianoforte di Roy Bittan accompagnata dall’armonica a bocca di Springsteen ci apre le porte di Thunder Road , prima traccia del disco. La voce del Boss sostenuta dal piano racconta una storia di vita difficile, di disperazione e desiderio. Cresce l’intensità della sua interpretazione, si aggiunge la band , batteria, chitarra elettrica, basso, e Springsteen introduce la figura femminile, spesso presente nei suoi testi come salvifica compagna di strada consolatoria, silenziosa e forte ancora di salvezza. “Non sei una bellezza, ma a me va bene così. Io non sono un eroe, l’unica redenzione che posso darti è questa strada a due corsie
che ci porterà dove vogliamo”.

La canzone esprime forza, fervore, la voce cresce e si fa potente in piena comunione con la band che sembra partecipare a questa corsa nella notte. Un grido, poi i fiati chiudono questa storia di ribellione, “E’ una città di perdenti, io me ne sto andando per vincere”. I fari rossi dell’auto si perdono nella notte e vien voglia di augurare buona fortuna a questi eroi, giovani dei così fragili e così forti.

Si cambia toni con Tenth Avenue Freeze out. La E Street band viene celebrata, o raccontata in questo brano funky r’n’b, soul dal piano martellante. Fiati in primo piano, e Bruce che canta di come Scooter si senta con le spalle al muro finchè nella band non entra “The Big Man”, alias Clarence Clemons, sassofonista, amico, ispiratore. I fiati fanno il loro dovere con i contrappunti classic soul, e Springsteen ripete e ripete il nome della strada, sfrontato, sicuro, capobanda , “Farebbero meglio a spostarsi tutti quanti, ero imprigionato in questa giungla, ma ora c’è Big Man, e c’è la Band attenti voi in Tenth Avenue. “
Neanche il tempo di riprendere fiato e subito il Boss ci sorprende e ci trascina in Night. Batteria e chitarre mitragliano una intro raccolta dal sax di Clemons , le chitarre appoggiano, il piano martella mentre la voce bruciante di Springsteen e tutta la canzone esprime l’’urgenza, la voglia di correre altrove. Dopo un giorno passato al lavoro, un lavoro che ti schiaccia e non ti da’ nulla, ecco di nuovo la notte che accoglie, consolatrice benigna . Tu gridi a squarciagola nel buio in questa corsa liberatoria, e tutto, l’arrangiamento, il suono, la voce veemente , suggeriscono che se domani sarai di nuovo al lavoro,forse una notte questa corsa non finirà, forse proprio stanotte.
E questa lunga fuga, voluta, sognata, riuscita, fallita, continua con Backstreets, la storia di due amici che pensavano che le strade secondarie fossero la via di fuga per andare lontano, e adesso ammettono di essere sconfitti , di essere come tutti gli altri, incastrati, nascosti nelle strade secondarie, prigionieri di sogni non realizzati. La lunga introduzione al piano, piena di speranza, evocatrice, si trasforma poco a poco in un ruggito fiammante in cui le chitarre elettriche, la batteria , la voce gridano ribellione impotente, violenta.
Springsteen e la sua grida sono commoventi e lasciano senza fiato, suggeriscono vite mai vissute, vite sprecate, la rabbia di giovani leoni in gabbia che guardano un mondo che non attraverseranno mai.

Si arriva alla splendida, bellissima, celeberrima Born to run, che racchiude in se’ tutta la filosofia, la linfa, il significato e la forza di questa opera rock.
Suoni pieni, doppie tastiere, fiati appassionanti, chitarre magistrali rendono giustizia ad una composizione di altissimo livello, di grande classe eppure ruvida, esplosiva, fervente, eroica.
Considerato un brano mitologico, l’essenza del rock’n’roll , il brano procede per martellamenti urgenti ed aperture poetiche, spazi improvvisi, strofe essenziali , digressioni armoniche geniali e sorprendenti,ed un testo che strappa il cuore. Amour fou, quello unico, che ti salva la vita e ti porta al sole, e l’interpretazione di Bruce, a volte sembra che preghi, poi un grido liberatorio ed eccolo ancora a dire, con la faccia dura e il cuore tenero, che siamo tutti in fuga, anche se non c’è più un posto dove nascondersi, ma siamo nati per correre, e correremo fino a cadere. Grandioso, epico, ribelle.

She’s the one inizia con il basso che sostiene l’appoggio delle chitarre e le tastiere a scale, e per un po’ si rimane sospesi in questa atmosfera, ma poi arriva la spinta energica della band a raccontare assieme al Boss ancora una volta i temi così cari, declinati ogni volta in un nuovo modo. E’ il ritratto di una donna sfrontata , sensuale, irraggiungibile, bugiarda, e questa volta la fuga nella notte accogliente e liberatoria è da lei, dall’unica, l’unica che poteva salvarti.
Meeting across the river è ancora una sorpresa. I toni si smorzano in questa bellissima ballata introdotta da un solo di tromba che seguirà per tutto il brano, in cui la voce di Springsteen è accompagnata solo da basso e pianoforte. Raffinato, intimista, riflessivo, un chiaroscuro dove l’autore riesce incredibilmente ad affrontare ancora il tema della fuga, del sogno e del riscatto in un modo diverso , senza mai ripetersi.
Poesia, speranza, paura e fragilità convivono in un testo che sembra un film in cui un giovane ragazzo vuole passare dall’altra parte del tunnel una volta per tutte.

Chiude degnamente il disco Jungleland, brano articolato, lirico, potente, in cui archi , il pianoforte e le tastiere procedono con continui cambi di ritmo. Le percussioni aggiungono grinta, le atmosfere si fanno via via infuocate, rabbiose, dolenti, sospese. E par di vederli i protagonisti di questa incredibile composizione, giovani angeli scalzi, che usano la musica e le chitarre come coltelli per squarciare il silenzio che li circonda, e la musica ferisce ed esplode. Sembra di vederli, disperatamente allegri, ribelli sconfitti, teneri prigionieri in una giungla di asfalto. Appassionati spiriti rassegnati che restano impressi nella nostra mente l’eco delle note non si spegne, e si rinnova nel tempo.

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