Focus On

JIMI HENDRIX

Nel momento in cui Jimi Hendrix sbarca dall’aereo Pan-Am che lo ha portato da New York a Londra e calpesta il suolo inglese dell’aeroporto di Heatrow, nessuno poteva ancora presagire che l’universo della musica leggera avrebbe affrontato a breve un profondo mutamento e commisurato rinnovamento, favoriti proprio dall’impetuoso ed estroso approccio alla materia sonora del giovane chitarrista appena atterrato.

Quel sabato mattina 24 settembre 1966, in una Londra sonnolenta, nessuno conosceva ancora Jimi Hendrix e a New York, dove si era imbarcato, nessuno ancora si rammaricava del suo espatrio poiché, salvo alcune recenti e costanti apparizioni allo storico Cafe Wha?, dove Chas Chandler lo aveva scovato, il nome Hendrix aveva destato ad allora scarse attenzioni. A novembre compirà ventiquattro anni: ha prematuramente assolto agli obblighi di leva per evitare il carcere e dal giorno del congedo, nel 1962, ha tentato di farsi conoscere, come chitarrista, prima nella scena musicale di Nashville, poi di Los Angeles ed infine a New York.
Ha collaborato con alcuni musicisti di rilievo: King Curtis, Isley Brothers, Curtis Knight, ha inciso due brani di scarso successo con Rosa Lee Brooks e accompagnato alcuni noti musicisti in tour, ma proprio il suo essere musicalmente radicale, quanto personale, determinato e puntiglioso, lo ha spesso fatto esonerare. Il suo stile irruento, le evidenti avvisaglie di un sound mai precedentemente espresso, la stessa postura sul palcoscenico, avevano consigliato alcuni manager ad allontanarlo perché oltremodo critico ed inclemente verso il sound richiestogli oppure per evitare che la presenza scenica di Hendrix potesse spostare l’attenzione del pubblico dal band leader o cantante.

Le sue prime performance in piccoli locali londinesi lo vedono salire sul palco inserendosi perlopiù in alcuni brani della band titolare della serata: erano tutte ospitate ottenute e stimolate da Chas Chandler, bassista degli Animals, uno dei gruppi di notevole successo della scena inglese ed internazionale che proprio in quei giorni avevano scelto di separarsi. Nel lavoro di pubbliche relazioni Chandler faceva pesare il suo status di rockstar poiché aveva deciso di rimanere nell’ambito della musica come manager e produttore. Hendrix rappresentava il suo primo tentativo di gestire, sviluppare e sostenere le doti di un musicista seguendone il percorso in ogni sua fase sin dall’inizio. In poche settimane attraverso un passaparola efficacissimo, il nome di Hendrix era divenuto sinonimo di una musica che rinnovava se stessa, che si proiettava nel futuro, una musica che voleva superare un beat oramai logoro ed esausto e una swinging London che neanche Carnaby Street riusciva più a rappresentare, una musica che anche grazie a Jimi Hendrix diveniva materia sensibile ed invitante per un underground in fermento e si proiettava contemporaneamente nell’incalzante stagione psichedelica che lui partecipò a determinare e caratterizzare. A meno di due mesi dal suo arrivo a Londra, grazie al febbrile lavoro di Chandler, Hendrix è in studio per registrare il suo primo 45 giri: i pezzi scelti sono ‘Hey Joe’, cover di un brano dello sconosciuto Billy Roberts, inciso dai Leaves nel 1965 e spesso eseguito da Tim Rose che si esibiva al Cafe Wha? nello stesso periodo in cui vi suonava Hendrix. Per il retro del disco si optò per una composizione dello stesso Hendrix, ‘Stone free’ che alcuni critici valutarono successivamente come brano precursore dell’hard rock.

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‘Hey Joe’ fu pubblicato a ridosso delle feste natalizie del 1966 e grazie ad un lavoro di promozione stampa per l’epoca molto sofisticato, riuscì ad imporsi immediatamente; è altrettanto evidente che la qualità della canzone e l’interpretazione di Hendrix parteciparono a renderlo un successo. Il brano è una perfetta introduzione ad Hendrix: il sound rapportato agli standard del periodo dichiarava come le vie percorse dal chitarrista erano e sarebbero state decisamente alternative al percorso prevedibile e lineare dell’offerta pop.

In soli due mesi il musicista nato nel 1942 a Seattle da padre di origini Cherokee e madre afroamericana, era riuscito non solo a crearsi un discreto seguito di audaci sostenitori, ma aveva letteralmente conquistato una serie di musicisti inglesi già affermati che indicavano in lui un probabile futuro per la musica. Molti dischiaravano che il linguaggio della chitarra nelle mani di Hendrix stava percorrendo percorsi inusitati: erano di questo parere Eric Clapton, Jeff Beck e Pete Townshend, mentre Brian Jones e Paul McCartney cercavano di non mancare a quegli appuntamenti che vedevano Hendrix esibirsi ancora saltuariamente con musicisti che lo ospitavano durante le loro performance. Nel frattempo Hendrix aveva selezionato Mitch Mitchell alla batteria e Noel Redding al basso, per dare vita alla Jimi Hendrix Experience. Con questa formazione a tre, ancor prima dell’incisione di ‘Hey Joe’, aveva suonato in Scandinavia, in Germania e Francia in un tour serrato, funzionale proprio al collaudo live della band.

Nei successivi tre anni il chitarrista avrebbe pubblicato tre album da alta classifica, partecipato da indiscusso protagonista a manifestazioni ormai decisamente storiche come il Pop Festival di Monterey nel 1967, Woodstock nel 1969 e il 30 agosto del 1970,  a pochi giorni dalla morte, il Festival dell’Isola di Wight.

La parabola di Jimi Hendrix iniziata con l’atterraggio a Heathrow il 24 settembre del 1966 terminerà tragicamente il 18 settembre del 1970, sempre a Londra nell’appartamento di Monika Dannemann al Samarkand Hotel. Sarà proprio la ragazza tedesca, con cui Hendrix aveva avuto una relazione terminata eppure mai conclusa, a trovare il corpo senza vita del chitarrista probabilmente morto per soffocamento e per abuso di barbiturici. L’eredità musicale di Hendrix è un lascito pregevole per qualità ed esteso per quantità: escluse però le incisioni pubblicate con l’autore ancora in vita o da lui quasi ultimate ed apparse postume, non è sempre facile districarsi tra una abbondanza di materiale in studio e live di vasta mole. Il vero patrimonio o testamento artistico è comunque essenzialmente racchiuso nei tre album incisi a nome della Jimi Hendrix Experience: ‘Are you experienced’ del maggio 1967, “Axis: bold as love” del dicembre 1967 e “Electric Ladyland” pubblicato nell’ottobre del 1968. Nel 1969 la Experience si dissolve e le succede la Band of Gypsys con Buddy Miles alla batteria ed il vecchio amico e commilitone Billy Cox al basso. Questa formazione, che prometteva una svolta drastica nella musica hendrixiana, pubblicò solo un album, il  live “Band of Gypsys” dove svettano i quasi tredici minuti di ‘Machine gun’ e la meravigliosa ‘Power of soul’, entrambe composizioni destinate a rafforzare il mito di Hendrix grazie alla loro dissennata bellezza e al loro feroce impeto. Le pubblicazioni postume di materiale in studio inedito si sono susseguite negli anni fino al 2013 quando viene l’album licenziato “People, hell and angels” silloge di brani inediti o alternate tracks incise tra il 1968 ed il 1970. Sull’onda emotiva per la scomparsa del musicista erano stati assemblati due album significativi: “The cry of love” nel marzo del 1971 dove troviamo brani divenuti classici post mortem come ‘Angel’ e ‘Freedom’, mentre “Rainbow bridge”, album dell’ottobre dello stesso anno conteneva un vero gioiello titolato ‘Dolly Dagger’. “First rays of the new rising sun” apparso nel 1997 proponeva i due album del 1971 più alcuni altre tracce inedite: nelle intenzioni dei curatori, tra cui Eddie Kramer che tutte le session di Hendrix aveva seguito come ingegnere del suono, questo progetto si avvicinava all’album doppio su cui Hendrix stava lavorando già dall’anno precedente la sua prematura dipartita.

ALBUM BOX

ARE YOU EXPERIENCED (1967)

Contiene brani imperdibili come ‘Foxy Lady’, ‘Purple haze’ e ‘The wind cries Mary’. Siamo a cospetto con tre classici, tre evergreen che di Hendrix raccontano il suo essere in anticipo sui tempi, chiariscono le direttive del percorso musicale e illustrano alla perfezione le innovazioni apportate al linguaggio ed alla stessa tecnica chitarristica. Nell’album troviamo poi ‘Red house’, una brillante quanto unica, autentica e rispettosa immersione nel blues ed infine ‘Fire’, uno dei brani più ‘canzone’ inciso da Hendrix.

AXIS:BOLD AS LOVE (1967)

Con il secondo album, “Axis: bold as love”, i codici espressivi e stilistici divengono più complessi: è evidente come Hendrix stia spostando ancora più in alto una illusoria asticella che lo stimola verso percorsi inesplorati. Quattro brani raccontano queste nuove conquiste hendrixane: ‘Up from the skies’, ‘Spanish castle magic’, ‘If 6 was 9’ e, su tutti ‘Little wing’. Sono incisioni irrinunciabili per chiunque voglia avvicinarsi ad Hendrix ed approfondirne la concezione compositiva, ognuno di loro contiene il germe stesso della musica del chitarrista di Seattle e l’espressione più convincente del suo lavoro come autore e strumentista.

 

ELECTRIC LADYLAND (1968)

E’ l’album più ambizioso ed in assoluto il più elogiato dalla critica, ottenne un notevole consenso di pubblico che lo portò ad essere primo in classifica negli States e a posizionarsi nei Top Ten in altri paesi. Pubblicato come doppio LP contiene il brano simbolo di Hendrix, quel ‘Voodoo child (Slight return)’ universalmente riconosciuto come apice della sua produzione, costruzione e concezione musicali. Nello stesso album si annida ‘All along the watchtower’ il brano più diffuso e più popolare di Hendrix. Altro gioiello assoluto è ‘Crosstown traffic’ dove si incontra un Hendrix impegnato in ambito decisamente rock, eppure il termine non inganni, perché il rock nella sua visione era qualcosa di estremamente personale.

BOX BRANI

VOODOO CHILD (SLIGHT RETURN)

‘Voodoo child (Slight return)’, può essere considerato musicalmente il brano simbolo di Jimi Hendrix che lo ha anche voluto nobilitare con una connotazione politica presentandolo come “inno delle Black Panthers” nel secondo show al Fillmore east del 31 dicembre del 1969.  ‘Voodoo child (Slight return)’ non deve essere confuso con ‘Voodoo chile’ presente sullo stesso album, jam di quasi 15 munuti incisa live in studio in una formazione atipica che comprendeva oltre Hendrix e Mitch Mitchell, Steve Winwood alla tastiere e Jack Casady bassista dei Jefferson Airplane e poi degli Hot Tuna.

 ALL ALONG THE WATCHTOWER

Gli accordi iniziali sono impronta indelebile, cifra stilistica indiscussa; la prestazione canora è penetrante, Bob Dylan, che del brano è l’autore, ha sempre riconosciuto, con una per lui insolita umiltà, l’eccellenza e superiorità dell’interpretazione di Hendrix rispetto alla propria versione apparsa sull’album “John Wesley Harding”. Indubbiamente è il brano più popolare di Hendrix, il brano ‘canzone’ che ne ha permesso una diffusione e percezione estremamente capillare anche in ambiti poco sensibili alla musica del chitarrista.

LITTLE WING

L’Hendrix meno visionario ma più sensibile alla ricerca sul sound lo si può trovare su questo brano da molti valutato come una delle sue migliori composizioni ed una delle sue migliori performance strumentali. Dal vivo Hendrix ha raramente rinunciato a proporla; tra le sue canzoni è quella su cui molti musicisti e non solo chitarristi si sono confrontati, un elenco sarebbe lunghissimo citare però Eric Clapton, Steve Ray Vaughan, Sting, Jeff Beck e, più recentemente John Mayer, è perlomeno doveroso.

HEY JOE

Questo è il brano che ha permesso a Jimi Hendrix di entrare nelle case dei giovani più disponibili alla mutazione che la musica stava subendo nel dicembre del 1967. Le radio non erano ancora state liberalizzate, ma soprattutto in Inghilterra, dal largo delle coste, alcune emittenti permettevano di ascoltare una musica alternativa a quella trasmessa dalla BBC radio. L’impatto con questo primo brano pubblicato dalla Jimi Hendrix Experience fu devastante sebbene alcune allucinate incursioni sonore operate dal leader dovevano ancora concretizzarsi.

ANGEL

In una intervista immaginaria di Lester Bangs a Jimi Hendrix pubblicata su Creem nel 1976 ambientata in un aldilà paradisiaco, il musicista valuta negativamente alcune sue canzoni ad eccezione di ‘Angel’ dicendosene orgoglioso. Il brano fu pubblicato postumo come singolo tratto dall’album “The cry of love” uscito alcuni mesi dopo la morte del chitarrista. Inciso con una formazione insolita che prevedeva Mitch Mitchell alla batteria e Billy Cox al basso e registrata diversi mesi prima della scomparsa, ‘Angel’ è una delicata ballata che racconta, forse, la direzione o una delle direzioni su cui Hendrix si stava muovendo musicalmente.

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