Focus On

Bruce Springsteen

Nella seconda metà degli anni ’50 alcuni elementi delle performance di Elvis Presley assumono, per molti musicisti rock and roll, il requisito di modello, di riferimento: cura per l’immagine in ogni suo più minimo dettaglio, gestualità rabbiosa e frenetica, velati incitamenti alla ribellione e fisicità trascinante, divengono prima ispirazione, poi orientamento diffuso ed infine tendenza e moda. Dopo circa dieci anni, attraverso la complessa articolazione dei suoi testi e la loro apertura e liberazione tematica, Bob Dylan partecipò alla definizione di una ulteriore innovazione indicando alcune opportunità che la musica aveva per divenire riflessiva, analitica e narrativamente matura.

L’aggregarsi della  corporalità di Elvis, con l’approccio umanistico di Dylan, avvenuto oltretutto nel periodo di generalizzata dissidenza degli anni ‘60, determinò una nuova espressione ed esperienza musicale semplicemente definita con il termine rock. Uno degli artisti che meglio ha interpretato ed ottimizzato questa originale  combinazione tra vigore musicale, scelte testuali, rudezza esecutiva e tematiche civiche è stato indubbiamente Bruce Springsteen: il ‘Boss’, l’uomo dalla integerrima onestà intellettuale, l’uomo che ha respinto con sdegno e anche ruvidezza le interessate attenzioni del presidente Reagan che gli chiedeva apertamente di schierarsi dalla sua parte, l’uomo che ha invece appoggiato con decisione e convinzione il presidente Obama e tuttora lo sostiene, l’uomo che ha perorato e appoggiato una innumerevole quantità di progetti di solidarietà.

Tra i testi di Springsteen e la sua vita quotidiana, si è andata creando nel tempo una costante e coerente etica che lo ha portato ad essere una sorta di moderno cantore sempre disposto e pronto a raccontare i meriti e i guasti del suo paese, le inevitabili disaffezioni che hanno trasformato col tempo il sogno americano in un qualcosa di effimero cui in pochi oggi credono, si riconoscono o al quale anelano. Bruce Springsteen canta e racconta comportamenti, inquietudini, speranze e disillusioni, tendenze e auspici mancati di un ceto medio basso americano privo ormai di aspirazioni e miraggi. Non è possibile scindere le tematiche springsteeniane dalla sua musica, dal suo rock ruvido, essenziale, poderoso, monolitico, quel rock epidermico che diviene efficace, quanto ingombrante sottofondo, per le sue narrazioni: non va mai infatti dimenticato, né sottostimato il suo desueto ruolo di involontario, eppure necessario, censore e moralizzatore. Nell’approccio di Springsteen al proprio lavoro c’è impegno, onestà ed integrità, c’è orgoglio e determinazione, c’è una consapevole ed obiettiva visione del reale, non certo immune da amarezza e sfiducia, che mai però, nelle sue canzoni, suggeriscono il senso della resa.

Nel 1973, su etichetta Columbia, vengono pubblicati due dischi: a gennaio l’album d’esordio, Greeting from Asbury Park, N.J., a settembre The Wild, the Innocent & the E Street Shuffle, capolavoro segnalato ed osannato all’unanimità dalla critica eppure scarsamente diffuso perché ancora non si era innescata quella necessaria volontà e determinazione, soprattutto economica, per promuovere il personaggio Springsteen. Ancora oggi questo secondo album è sottostimato ed è probabile che i lavori immediatamente successivi, incisioni di estrema qualità e prestigio abbiamo offuscato un The Wild, the Innocent & the E Street Shuffle che rappresenta comunque la migliore introduzione al sound springsteeniano, caratterizzato allora da quell’impeto e da quella vitale insolenza che solo la gioventù può apportare. Nel 1975 esce Born to run, si passa dai due milioni di copie vendute ai sei milioni, e questo negli States, in Europa i numeri precedenti si quadruplicano, forse anche di più.

Il percorso di Springsteen è ormai segnato, brani come Thunder Road, Born to run dischiudono a ingredienti che diverranno una costante nelle composizioni future del cantante. Il gruppo che lo ha accompagnato sin dagli esordi, la E Street band durante le incisioni di Born to Run subisce profondi mutamenti fino a trovare però un line-up che manterrà per circa dieci anni, anni nei quali Springsteen consoliderà ancor di più il suo status di rocker rispettabile ed autorevole, considerato dalla critica e seguito dal pubblico, per divenire poi, negli ’80, un fenomeno mondiale irrefrenabile, probabilmente l’ultimo vero fenomeno prodotto dalla musica rock.

A Born to Run succede nel 1978 lo splendido Darkness in the Edge of Town che, solo apparentemente, sembra voler proseguire il discorso aperto con l’album precedente, mentre indubbiamente si pone come progetto meno accessibile ed immediato. I racconti di Springsteen si ancorano maggiormente al reale vissuto in quegli anni da migliaia di americani, la musica diviene un rock più meditato e mediato, non ci sono hit che promuovono il disco che vende comunque al pari del precedente.

Darkness in the Edge of Town consolida e rende estremamente salda la posizione di Springsteen, ampliando e radicalizzando un’aura di militanza nel tema del sociale che si svilupperà ulteriormente nel suo album capolavoro del 1980: The River. Album doppio, impegnativo, quanto immediato in alcune sue componenti, The River è indubbiamente un lavoro maturo; il cantante ha superato da poco i trentanni, sta per affrontare un decennio difficile che lui percorrerà senza esitazioni o incertezze, raccogliendo consensi universali. La sua musica è lontana da quella che gli ’80 producono e manifestano, mentre lui insiste nel cantare le storie di personaggi che appartengono alla leggenda americana, figure raccontate anche da scrittori come Steinbeck, Faulkner, Dos Passos o dalla O’Connor. Sono ritratti di braccianti, cameriere, meccanici, personaggi falliti o irrisolti, disoccupati e disadattati sempre comunque fieri quanto, inevitabilmente, prossimi ai limiti di un labile confine che potrebbe condurre ad una alienante arrendevolezza. Non mancano fughe in auto, autostrade, statali o automobili dai nomi mitici. Quello che Springsteen canta è un mondo sfocato dove i sogni sembrano ormai  irraggiungibili.

A The River succederà un album cupo, articolato sempre su temi cari a Springsteen: Nebraska è un disco acustico, musicalmente scarno, che perfettamente si rapporta all’umore dei testi. Passano  due anni ed arriva il disco della consacrazione: è il 1984 e Springsteen pubblica Born in the U.S.A., il marchio di fabbrica è ormai solido e basta citare un brano come Dancing in the dark per capire come il sound di questo lavoro sia espressione di procedure compositive rielaborate, riviste e attualizzate. Il disco è una impressionante raccolta di hit: Glory days, I’m on fire, Born in the U.S.A. non lasciano nessuno scampo all’ascoltatore. Il futuro è ormai segnato, cambieranno a volte le intenzioni, altre la focalizzazione delle tematiche, altre ancora vedranno un esaurimento del rapporto con la E Street band, eppure i dischi manterranno un livello altissimo; il percorso compiuto fino a Born in the U.S.A. verrà di nuovo perlustrato, approfondito, riproposto o rinvigorito, la figura di Springsteen non subirà minime scalfitture ergendosi sempre a rocker incorruttibile quanto ineguagliabile. E la storia ancora continua attraverso passaggi memorabili: la trilogia involontaria e discussa (Tunnel of love [1987], Human Touch [1992], Lucky Town[1992]) ancora oggi motivo di controversia tra i critici, The Ghost of Tom Joad del 1995 acclamato come testimonianza storica sulla manovalanza americana, Devil & Dust del 2005 che rinsaldò ed incrementò lo spessore springsteeniano grazie alla sua asciuttezza, come precedentemente aveva fatto The Rising nel 2002 nel quale tentava di riunire e motivare gli americani sconvolti dall’11 settembre. C’è poi Streets of Philadelphia scritta per il film ‘Philadelphia’ di Jonathan Demme. I discorsi sull’HIV e sull’AIDS iniziarono ad intensificarsi e diffondersi nei primi anni novanta; nel 1993 il regista propose a Springsteen di scrivere una canzone per un suo film che trattava il tema dell’AIDS, una pellicola interpretata da Tom Hanks e Denzel Washington. Streets of Philadelphia fu essenzialmente edificata in studio dal solo Springsteen impegnato nella quasi totalità degli strumenti, il suo impegno fu premiato con un Oscar per la migliore canzone vinto nel 1994.

BOX ALBUM

1) BORN TO RUN (1975)

Bruce Springsteen era abituato alle lodi tessute dalla critica ai suoi lavori, lo era meno ad un successo improvviso, meritato e globale. All’uscita di questo disco la Columbia investì molto in promozione, le  tracce rispettavano i canoni radiofonici e l’inevitabile si avverò: Springsteeen divenne una stella di prima grandezza del rock grazie a Jungleland, Thunder Road e soprattutto al brano che da il titolo all’album. Anche se è il terzo disco realizzato dal cantante, Born to run rappresenta e spesso è considerato come il debutto di Springsteen nell’aristocrazia del rock.

2) THE RIVER (1980)

Le premesse per imporsi non solo come rocker, ma come cantore di una America sbandata e lacerata soprattutto nel ceto sociale storicamente considerato trascinante per lo sviluppo della nazione, erano state gettate con i lavori precedenti. Eppure questo doppio album: The River, scritto, registrato e pubblicato in un momento di profonda contrazione economica degli States, spostò ulteriormente l’attenzione del pubblico sull’impegno di uno Springsteen che a quella crisi accennava con durezza, efficacia e speranza. The River è ora disponibile anche in un cofanetto articolato in vari CD e DVD, intitolato The Ties that Bind: The River Collection che, attraverso materiale inedito, ne chiarisce e racconta la genesi.

3) BORN IN THE U.S.A. (1984)

Apprezzamenti, riconoscimenti, vendite significative, attestati di stima, Springsteen li aveva ottenuti nei suoi dieci anni di attività; la consacrazione era ormai avvenuta, eppure come ogni artista anche lui cercava probabilmente quella celebrazione che gli fu tributata grazie a Born in the U.S.A., l’album del ritorno al rock essenziale, affidato a canzoni immediate o addirittura a canzoni-slogan come quella che dà il titolo ad un album articolato su pezzi che fanno ormai parte della storia: Glory Days, Working on a dream, I’m on fire e il pezzo simbolo di uno Springsteen improvvisamente calatosi negli anni ’80, Dancing in the Dark.

BOX CANZONI

1) THUNDER ROAD ( da Born to Run 1975)

Quando una canzone nasce con le caratteristiche di Thunder Road, la fortuna inevitabilmente le arride: l’introduzione affidata a pianoforte ed armonica è semplicemente micidiale, corrosiva, lo sviluppo rispetta una sorta di crescendo emotivo che raggiunge il climax in un ritornello trascinante, perfettamente rock e genuinamente pop. Uno dei momenti immancabili nei concerti del Boss da anni e anni.

2) DANCING IN THE DARK (da Born in the U.S.A. 1984)

Spesso gli anni ’80 sono ricordati per sonorità che gli amanti della musica rock giudicarono perlomeno blasfeme, irritanti e limitate; con questo brano Springsteen dimostra che la musica, al di là di mode, tendenze e periodiche inclinazioni, può superare ogni vincolo storico e stilistico. Venerata, celebrata e adorata dai fan del Boss questa è una delle sue canzoni simbolo, una canzone permeata dalla poetica springsteeniana, una canzone che ad oggi rappresenta il suo maggior successo commerciale.

3) ROSALITA (Come out tonight)  (da The Wild, the Innocent & the E Street Shuffle 1973)

Questa canzone ha sempre ricevuto una particolare attenzione da parte di Springsteen, non è un caso che sia presente in vari suoi dischi live e faccia parte abitualmente della scaletta delle sue performance. E’ uno dei brani che appartengono al periodo iniziale della carriera del Boss eppure la sua statura è talmente di spessore da non poter essere trascurata, come d’altronde lo è l’album cui Rosalita (Come out tonight) appartiene, lavoro che raffigura perfettamente le componenti della musica di Springsteen nella fase embrionale del suo percorso.

4) BADLANDS ( da Darkness of the Edge of Town 1978)

E’ sempre ambiguo e difficile destinare ad una canzone il compito di raffigurare un musicista considerando poi che il consumo commerciale di un brano può non sempre  coincidere con il lavoro più personale di un artista. Badlands proviene da un album simbolo di Springsteen, forse il suo preferito: Darkness of the Edge of Town, e rappresenta perfettamente un condensato dello Springsteen pensiero applicato alla musica ed alla sua pratica.

5) BORN IN THE U.S.A.  (da Born in the U.S.A. 1984)

Ci sono canzoni che non possono essere descritte o raccontate, è talmente forte il loro impatto, l’energia che comunicano e l’urto provocato che si può solo consigliare di ascoltarle e riascoltarle di continuo. Born in the U.S.A. è uno dei modelli più riusciti di questo genere di brano, è una canzone slogan nata per fissarsi nella mente e nella memoria in maniera indissolubile.

 

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