Non Farti Cadere Le Braccia
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1. Mm 0:56
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2. Non Farti Cadere Le Braccia 3:43
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3. Una settimana…un giorno… 4:15
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4. Ma Quando Arrivi Treno 1:31
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5. Campi Flegrei 4:18
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6. Tempo Sprecato 4:03
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7. Detto Tra Noi 6:05
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8. 3:39
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9. Un giorno credi 3:37
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10. Rinnegato 6:43
Edoardo Bennato non è più un ragazzino quando pubblica l’album d’esordio “Non farti cadere le braccia”. Ha 27 anni e una lunga gavetta alle spalle. Conosce la tradizione napoletana, ma guarda all’America, al rock’n’roll, al folk di Bob Dylan. Il discografico Vincenzo Micocci lo porta con sé alla Parade, che nel 1966 pubblica il 45 giri “Era solo un sogno” / “Le ombre”, due canzoni con testi di Alessandro Portelli, futuro americanista e professore di letteratura anglo-americana all’Università La Sapienza di Roma. Il lato A è una canzone insolitamente melodica e sentimentale per uno come Bennato, che la interpreta imitando lo stile dei cantanti rock’n’roll nostrani che a loro volta guardano a Elvis Presley. Il lato B lascia intravedere lo stile folk del cantautore, se non altro nell’uso dell’armonica a bocca. Ma il destino di Bennato, per ora, è quello di scrivere per altri, da Herbert Pagani a Bruno Lauzi.
Nel corso degli anni successivi, accasatosi presso l’etichetta Numero Uno, Edoardo Bennato pubblica una serie di 45 giri dai quali non emergono la sua personalità esplosiva e il suo stile formato suonando chitarra, armonica a bocca e tamburello per le strade di Londra e di Milano, dove studia architettura. Quei 45 giri rappresentano un’esperienza frustrante che, una volta firmato un contratto con Ricordi, convince Bennato a fare tabula rasa del passato. “Non farti cadere le braccia” del 1973 rappresenta perciò l’ultima possibilità di farcela e assieme un nuovo inizio alimentato dalla rabbia e dalla coscienza di essere una mosca bianca nel panorama della canzone italiana. In copertina c’è un cerino e la prima stampa del vinile presenta una cover apribile con il fiammifero in rilievo, diventata oggetto di collezionismo. È un riferimento al titolo originario dell’album “L’ultimo fiammifero”, intensa come ultima chance di dare il via alla carriera musicale. Gli viene preferito “Non farti cadere le braccia”, come la canzone che apre l’album dopo il minuto introduttivo di “Mm”.
Vena poetica e polemica s’intrecciano, il romanticismo s’abbina alla rabbia. L’esuberanza e la qualità della scrittura, che molto deve al folk americano, rendono “Non farti cadere le braccia” un esordio per molti versi maturo, anche se lo stile del cantante verrà messo a fuoco nei dischi successivi. Chitarra acustica suonata in modo ritmico, armonica a bocca, kazoo, uno stile canoro selvaggio: finalmente Edoardo Bennato si presenta in modo autentico. Il 33 giri contiene alcuni classici, che saranno riscoperti anni dopo: “Non farti cadere le braccia”, “Campi Flegrei”, sui ricordi della zona in cui il cantautore è cresciuto, la dolce “Una settimana… un giorno…” e “Un giorno credi”, composta da Patrizio Trampetti della Nuova Compagnia di Canto Popolare (“Lei non è qui… non è là” è invece co-firmata con Bruno Lauzi).
In un disco del genere la stranezza è costituita dagli arrangiamenti d’archi. Sono firmati dal compositore e musicologo Roberto De Simone. “Non volevo un’orchestra di accompagnamento, ma che si muovesse in modo ritmico”, ha spiegato il cantautore a Panorama. “La fonte di ispirazione erano due album di Elton John che avevo scoperto a Londra: ‘Madman across the water’ e ‘Tumbleweed connection’, impreziositi dallo straordinario lavoro di Paul Buckmaster”, che tra l’altro aveva studiato al Conservatorio di San Pietro a Majella, a Napoli. Gli arrangiamenti orchestrali sono presenti in molte canzoni, ma giocano un ruolo determinante nel crescendo di “Detto tra noi”, dove emerge la vena fiabesca che caratterizzerà i futuri classici di Bennato.
Eppure non basta. Attorno al debutto di Edoardo Bennato c’è “un silenzio assordante”, si lamenterà il cantautore. La sua voce è considerata sgraziata, gli dicono, è bene che rassegni, abbandoni l’idea di cantare e si metta a fare l’architetto. “Contratto finito. A quel punto, tutto quel che avevo era il disco in qualche scaffale. Capii subito qual era la differenza tra la musica e lo sport. Nello sport c’è un numero certo stabilisce il tuo valore rispetto agli altri. Nella musica no, valgono altri fattori che hanno a che fare con l’approccio dei media al tuo lavoro. A quel punto presi una decisione: con il tamburello a pedale, che mi ero costruito a Londra insieme ad un supporto con cui potevo suonare chitarra ed armonica insieme mi misi davanti alla sede della Rai a suonare e venni notato da un giornalista che mi portò dal direttore di Ciao 2001, che a sua volta mi presentò al Festival di Civitanova Marche”.
Inizia così una nuova fase. Bennato scende da quel palco con la sensazione che la sua vita è cambiata. “La patente che mi era stata rifiutata dalla discografia me l’avevano consegnata gli uomini della politica e della cultura. Secondo loro Edoardo Bennato, di estrazione proletaria, era il rappresentante ideale dell’insoddisfazione giovanile. Con questo ‘marchio’ mi invitarono a tutti gli open air. Ma io non sventolavo bandiere”. Non sventolava bandiere neanche sul fronte musicale. Contrariamente a chi era restato fedele alla tradizione partenopea come il fratello Eugenio, Edoardo Bennato mischia le carte, cerca un punto di contatto fra canzone italiana e americana, rock e folk, melodia e ritmo. È un debuttante eppure, come recita uno dei pezzi forti del disco, già si sente un “Rinnegato”. Il tempo gli darà ragione.