Mindfields/Livefields/Toto
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1. After You’ve Gone 6:38
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2. Mysterious Ways 3:43
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3. Mindfields 6:11
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4. High Price Of Hate 9:23
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5. Selfish 5:31
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6. No Love 4:37
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7. Caught In the Balance 6:22
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8. Last Love 4:59
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9. Mad About You 4:25
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10. One Road 3:45
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11. Melanie 5:20
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12. Cruel 5:58
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13. Better World 7:42
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1. Caught In the Balance 6:42
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2. Tale Of A Man 5:14
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3. Rosanna 6:53
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4. Luke Solo 3:08
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5. Million Miles Away 4:54
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6. Jake to the Bone 7:59
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7. Simon Solo 4:21
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8. Dave’s Gone Skiing 1:09
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9. Out Of Love 3:00
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10. Mama 2:12
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11. You Are the Flower 1:55
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12. The Road Goes On 2:31
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13. Better World 8:09
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14. Girl Goodbye 6:14
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15. Dave Solo 4:48
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16. White Sister 6:20
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1. Child’s Anthem 2:45
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2. I’ll Supply the Love 3:45
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3. Georgy Porgy 4:08
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4. Manuela Run 3:55
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5. You Are the Flower 4:17
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6. Girl Goodbye 6:14
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7. Takin’ It Back 3:46
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8. Rockmaker 3:19
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9. Hold the Line 3:56
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10. Angela 4:44
“Mindfields” è il disco di un gruppo che cerca di rimettere assieme i pezzi e riallacciarsi a un’arte andata perduta. È l’album più vario dei Toto. La band americana si misura con una gran quantità di stili: rock FM, hard, ballads, rock-blues, country, prog, pop, reggae, per un totale di quasi 80 minuti di musica. Il disco segna una sorta di reunion: alla fine del tour per il ventennale, infatti, è tornato a far parte della formazione il cantante Bobby Kimball che aveva lasciato dopo il quarto album. “Sono i Toto originali”, dice il batterista Simon Phillips, “ma con uno stile attuale”. In mancanza di pezzi memorabili come “Hold the line” o “Rosanna”, i cinque musicisti donano una veste scintillante anche alle composizioni meno brillanti. L’album esce in Europa nel marzo 1999 e negli Stati Uniti ben otto mesi dopo: passati i fasti dei primi anni, la band è più popolare nel vecchio continente, dove il disco va meglio del precedente “Toto XX”. E difatti quando “Mindfields” esce finalmente negli Stati Uniti, in Europa è già stata pubblicata l’appendice dal vivo “Livefields”. Se non altro in patria, dove i Toto non ricevono un disco d’oro da una dozzina d’anni, “Mindfields” ottiene una nomination ai Grammy nella categoria Best Engineered Recording Non-Classical.
Più che il lavoro di una band unita, che nel 1999 conta Steve Lukather (voce, chitarra), Bobby Kimball (voce), David Paich (tastiere), Mike Porcaro (basso) e Simon Phillips (batteria) più un cast notevole di musicisti aggiunti, “Mindfields” è il frutto della collaborazione fra piccole unità lavorative. Ogni canzone porta il marchio dei suoi creatori, che spesso vi lavorano indipendentemente dagli altri musicisti. E così “After you’re gone”, che apre il lavoro con il suono inusuale delle tabla, appartiene al canone di Lukather che ne co-autore con Phil Soussan, suo collaboratore nell’album solista “Luke” di due anni prima. Nel finale, Lukather suona usando una tecnica che gli ha insegnato Jeff Beck, dando all’ascoltatore l’impressione di sentire il suono di una chitarra registrata al contrario. Lo stesso Lukather e David Paich fanno squadra con Stan Lynch, già batterista degli Heartbreakers di Tom Petty, nel rock-blues con tanto di Hammond “High price of fame” e nel rockettone “Selfish”, con Timothy B. Schmit degli Eagles ai cori. “Mad about you” nasce invece dalla collaborazione di Paich con Joseph Williams, già cantante del gruppo che tornerà a far parte in pianta stabile dei Toto nel 2010.
I cinque dimostrano di potere suonare di tutto e di farlo con la consueta impressionante professionalità. Ci sono canzoni orecchiabili come “Mysterious ways” e “Cruel”, con un arrangiamento di fiati dinamico che riporta ai dischi anni ’80. Ci sono pezzi che riflettono un sound pop-rock più leggero come la title track, un reggae bianco modello Police. Si ascoltano echi di country-rock in “No love” e piccole parti programmate nell’introduzione della ballata radiofonica “Melanie”. I 7 minuti e mezzo della canzone finale “Better world” sono divisi in tre parti così come tre sono gli autori. Phillips, Lukather e Paich la scrivono senza mai stare nella stessa stanza. Il batterista porta il riff, il chitarrista si occupa della linea melodica della parte cantata, il tastierista aggiunge la sezione pianistica. La versione finale è assemblata con Pro Tools. La bonus track inizialmente pensata per il solo mercato giapponese “Seven steps” porta a oltre 78 i minuti dell’album. È la storia dell’amore per una donna bella e pericolosa, ambientata sulla scalinata di Trinità dei Monti di Roma, ed è anche l’unica canzone interpretata da Paich.
“Forse ha troppe canzoni”, rifletterà tempo dopo Lukather, “ma conteneva canzoni buone e stavamo tornando ad essere noi stessi. Simon cominciava a sentirsi parte del gruppo e poi c’era la voce di Bobby. Eravamo arrivati al punto in cui sentivano di ‘dovere’ fare un disco lungo”. L’album è racchiuso da una copertina da gruppo prog, stile che si rintraccia in “Better world”. L’idea dell’art director Doug Brown è disseminare la copertina di indizi su cui i fan si sarebbero misurati, un po’ come avveniva negli anni ’70. Ecco allora la scritta “Mindfields” riprodotta con una serie di strani simboli e un uomo che regge un binocolo le cui lenti formano il segno dell’infinito. Simboli misteriosi appaiono anche nel retro copertina e nel libretto. “Ci sono sempre piaciute le cover di ‘Sgt. Pepper’, di ‘Captain fantastic’ e dei Pink Floyd”, ha detto Paich, “copertine che potevi guardare mentre ascoltavi il disco. L’intero package di ‘Mindfields’ evoca il tempo dei dischi in vinile. È un’arte andata perduta”.