Make Yourself
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1. Privilege 3:54
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2. Nowhere Fast 4:30
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3. Consequence 3:19
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4. The Warmth 4:25
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5. When It Comes 4:00
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6. Stellar 3:20
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7. Make Yourself 3:03
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8. Drive 3:52
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9. Clean 3:56
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10. Battlestar Scralatchtica 3:50
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11. I Miss You 2:48
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12. Pardon Me 3:44
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13. Out From Under 3:28
“Crossover”. La sola menzione di questa parola, ad un appassionato di musica, fa l’effetto della madeleine a Proust: un fiume in piena di memorie, alla ricerca del tempo perduto. A Gli anni ’90. E tra tutti, gli Incubus. E tra gli album della band californiana, “Make yourself”.
Brandon Boyd, Jose Pasillas, Mike Einzinger e Alex Katunich hanno formato la band nel ’91. Nel ’95 pubblicano il primo album e suonano. Suonano tanto, così tanto che il disco successivo, “S.C.I.E.N.C.E.”, arriva a vendere 100.000 copie senza alcuna copertura da parte dei media mainstream, anche se è già pubblicato dalla major Epic. Ma stabilisce un’identità sonora per la band: metal e funk, bianco e nero – e un un DJ che fa scratch sulle basi suonate. Ovvero i fondamentali del crossover, appunto, reso mainstream dai Red Hot Chili Peppers, dai Limp Bizkit.
Per il terzo disco, però, iniziano a pensare a cambiamenti: un suono più melodico, sempre basato sui groove e sulle chitarre, ma un po’ meno aggressivo. L’inizio delle registrazioni però crea diversi problemi. La band non si trova con il produttore Jim Wirt, che aveva lavorato ai due dischi precedenti, e decide di continuare da sola. Poco dopo subentra il produttore di fiducia dei R.E.M., Scott Litt, che aiutò la band a trovare il suono giusto.
E funziona – perché i media si accorsero finalmente della band: Rolling Stone, all’uscita del disco nell’ottobre del ’99, gli diede 4 stelle; MTV iniziò a programmare le loro canzoni. Ci volle più tenacia con le radio: “Pardon me”, il singolo, venne ignorato, inizialmente. Ma, dopo una versione acustica suonata per una radio di Los Angeles, le stazioni si accorsero del brano, iniziando prima a passare quella versione, poi quella del disco. Che rappresenta alla perfezione l’album: chitarre dure, ritmi coinvolgenti, Brandon Boyd che canta e rappa tra una strofa e l’altra, mentre il DJ dialoga con un basso funky.
Ci sono altri momenti musicali nel disco, che definiscono il suono della band: il rock più dritto di “Privilege”, e soprattutto “Drive”, una ballata semiacustica su base campionata, che diventerà la canzone più nota della banda.
Grazie, al successo di “Pardon me”, l’album finalmente decollò, trascinandosi dietro tutto. Un’onda partita piano, ma cresciuta inesorabilmente. Un’onda lunga, che arriva al massimo proprio con “Drive” pubblicata come singolo ad inizio 2001, 14 mesi dopo l’uscita dell’album, e in testa alle classifiche rock di Bilboard.
Il risultato complessivo: 500.000 copie dell’album (che con il tempo arriveranno a 3 in tutto il mondo), tour con nomi come Primus e System of a Down, concerti in Europa, canzoni nelle colonne sonore dei videogioco. La Epic costretta a ristampare l’introvabile esordio “Fungus amongus”. Il disco successivo, “Morning view”, sarebbe uscito pochi mesi dopo “Drive”, nell’agosto del 2001, cavalcando quell’onda – e permettendo alla band – in puro stile californiano – di surfare ancora più in alto.