In A Silent Way
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1. Shhh / Peaceful 18:16
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2. In a Silent Way 19:52
Quando si parla dei capolavori di Miles Davis, solitamente si citano “Kind of blue” e “Bitches brew”, due album che hanno non solo rappresentano le vette della carriera gigantesca di uno dei più grandi jazzisti di tutti i tempi, ma che hanno definito ere diverse della musica afroamericana. e non solo.
“In a silent way” uscì a febbraio del ’69, 13 mesi prima di “Bitches brew”: un capolavoro altrettanto bello, con una storia ancora più travagliata, e per certi versi storicamente più importante.
E’ il primo disco elettrico di Miles Davis, il primo in cui prova la contaminazione con suoni derivati dal rock e il primo in cui lo studio di registrazione viene usato come strumento di composizione, tanto quanto la tromba, una chitarra o una sezione ritmica.
Già nel ’68 Davis, iniziò a sperimentare suoni diversi da quelli che praticava con il suo quintetto abituale di quel periodo. Miles era annoiato dalla ripetitività dei suoi colleghi e del jazz in generale: iniziò a cercare nuovi stimoli in altri campi musicali. “In a silent way” fu il primo disco in cui questo nuovo approccio venne sfruttato appieno, senza più mediazioni.
Fu così che iniziò a coinvolgere nomi Joe Zawinul, Chick Corea e soprattutto l’inglese John McLaughlin: aveva appena inciso il suo debutto “Exratapolation”, e che gli venne presentato da Tony Williams, che lo portò a Davis la sera prima della data fissata per le registrazioni, fissate per il 18 febbraio del ‘69. Sarebbero state pubblicate nel 2001, assieme a quelle del settembre ’68, nel box “The Complete In a Silent Way Sessions”
Ma “In a silent way” è un disco diverso da quelle sessioni. Le tracce di studio vennero poi rielaborate in quella che oggi si chiama “post-produzione”. E’ il primo lavoro basato sulla tecnica di editing in studio del produttore Teo Macero, che poi verrà espansa e portata all’estremo nel successivo “Bitches brew”. Macero aveva in mente la forma della sonata, e i due lunghi brani dell’album sono l’assemblaggio di tre parti: l’esposizione del tema, lo sviluppo, il riassunto. Il tema che apre il brano si ripete uguale alla fine, secondo questa logica.
Al tempo, questi suoni e queste tecniche erano già consuete per il rock, ma non per il jazz. E infatti la critica di settore accolse con scetticismo il disco. Lo storico del jazz Phil Freeman scrive che la reazione dei critici rock fu di accogliere con entusiasmo l’album, al contrario di quelli jazz: “I critici pensavano che il disco suonasse rock o che fosse un deciso passo nella loro direzione, ed andarono in brodo di giuggiole. Lo stesso ragionamento fece trarre conseguenze opposte ai critici jazz”. Un esempio fu la recensione di Rolling Stone scritta da un Lester Bangs in stato di grazia. Per il più famoso dei critici rock, “In a silent way” era “il tipo di album che ti dà fiducia nel futuro della musica: non è rock and roll, ma non è jazz stereotipato. Molto si deve alle tecniche di improvvisazione sviluppate dai musicisti rock negli ultimi quattro anni. Questo disco fa parte di una nuova musica trascendentale che sfida le categorie e, usando fonti musicali provenienti da diversi stili e le culture, è basata principalmente sull’emozione e sulla ricerca di una pura originalità”
Nonostante le critiche del tempo, “In a silent way” fu il primo disco di Miles Davis ad entrare nella classifica generale in 4 anni. E oggi è considerato un capolavoro non solo del jazz, ma di tutta la musica e un punto di riferimento per musicisti (si pensi al remix “ambient” operato da Bill Laswell nel ’90 con l’album “Panthalass”) e ascoltatori.