Standing On The Shoulder Of Giants
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1. Fuckin’ In The Bushes 3:18
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2. Go Let It Out 4:38
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3. Who Feels Love? 5:44
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4. Put Yer Money Where Yer Mouth Is 4:27
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5. Little James 4:13
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6. Gas Panic! 6:10
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7. Where Did It All Go Wrong? 4:26
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8. Sunday Morning Call 5:08
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9. I Can See A Liar 3:12
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10. Roll It Over 6:41
Il quarto album degli Oasis, pubblicato nel 2000, costituisce di fatto il debutto di una band dall’anima rinnovata.
Salutati il chitarrista Paul Arthurs ed il bassista Paul McGuigan l’anno precedente, i tre membri rimasti si preparavano ad un interessante aggiornamento di stile.
E se Liam Gallagher e Alan White rimanevano saldi a microfono e batteria, Noel Gallagher svelava una volta per tutte il proprio volto di infaticabile polistrumentista e con la complicità del prolifico producer Mark Stent. Standing on the Shoulder of Giants lo immortala in uno dei momenti di più evidente dedizione della sua carriera, diviso tra chitarre, tastiere, basso e sperimentazioni in studio.
Più di ogni altra produzione precedente e successiva firmata dal gruppo di Manchester, l’album tradisce un amore profondo per il lascito degli anni Sessanta, e soprattutto, ancora una volta, per quello dei Beatles nei loro anni più avventurosi.
L’album dello stile rivoluzionato si apre con un altrettanto rivoluzionario inno: Fuckin’ in the Bushes è una festa per spiriti ribelli trascinata da una batteria incendiaria ed un riff di chitarra ipnotico e selvaggio. In apertura compie un tuffo indietro fino al 1970, al leggendario Festival dell’Isola di Wight.
Il singolo di lancio dell’album è Go Let It Out, una perla tra le più lucenti nella ricca storia del Noel Gallagher autore, che l’ha più volte definita una delle sue migliori creazioni in assoluto. Anche in questo caso non mancano i riferimenti al passato, e la batteria che apre il pezzo è un sample della I Walk on Guilded Splinters di Johnny Jenkins, cover del 1970 del classico di Dr. John.
Segue un altro dei pezzi più brillanti dell’album, l’allucinata Who Feels Love?. Lo sguardo è rivolto ad oriente, a quell’Est di incanti indimenticabilmente legato al pop dai Beatles a metà anni Sessanta. Non a caso, la principale ispirazione del producer Mark Stent era stata Rain, b-side di culto del quartetto di Liverpool pubblicata nel 1966.
Il distacco dal sound degli inizi è ancora evidente sulle note di Put Yer Money Where Yer Mouth Is, imponente costruzione di sonorità ricche .
. La successiva Little James è l’unica traccia dell’album a non portare la firma di Noel Gallagher: scritta dal fratello Liam, è una ballad agrodolce dedicata al figlio che la moglie Patsy Kensit aveva avuto dal precedente matrimonio.
Gas Panic! è un viaggio oscuro che attinge al più stimolante underground a cavallo tra la fine degli anni Novanta e l’inizio del Millennio. Si fa notare in particolare la presenza di due ispirati ospiti, Charlotte Glasson al flauto e Mark Feltham all’armonica, interprete di un solo magicamente tormentato.
Seguono due brani che vedono Noel Gallagher protagonista anche al microfono: rispettivamente secondo e quarto singolo estratto dall’album, Where Did It All Go Wrong? e Sunday Morning Call .Se la prima tradisce la maturità di una generazione incapace di crescere definitivamente, affidando il proprio disincanto a trascinanti sferzate elettriche, la seconda trova rifugio nell’intensità di atmosfere acustiche tornando ad abbracciare un gusto melodico che ricorda quello, inconfondibile, dei primi successi.
I Can See a Liar colpisce con un appassionato graffio hard rock tracciando enigmaticamente la figura di un principe posticcio circondato da menzogne.
L’album si chiude con Roll It Over, testo ermetico e sontuosità di suoni, che si apre come una sinistra allucinazione. Il fido collaboratore Paul Stacey interviene con un solo di chitarra magnificamente lineare di grande effetto, che si va ad accostare alla voce di Liam Gallagher ed al massiccio wall of sound della band in un finale solenne ed avvolgente.