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SPECIALE LUCIO DALLA – COME E’ PROFONDO IL MARE

18 Nov 2015

COME E’ PROFONDO IL MARE

Anno: 1977

 

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“Il pensiero da’ fastidio anche se chi pensa è muto, come un pesce..” (L. Dalla, “Come è profondo il mare”)

Nel 1977 Lucio Dalla inizia una nuova fase del suo percorso  artistico.

Conclusa la lunga collaborazione con il paroliere/poeta Roberto Roversi, con cui aveva lavorato agli album “Il giorno aveva 5 teste”(1973), “Anidride solforosa”(1975) ed infine “Automobili” (1976), il cantautore bolognese è pronto ad esprimersi completamente, attraverso la musica e finalmente anche i testi.

Lavorare con Roversi lo ha aiutato a mettere a fuoco e ad enucleare sentimenti, stati d’animo, sprazzi di idee, immagini, gli ha mostrato la via, regalandogli la forza ed il coraggio di costruirsi la propria strada.

E’ così che nasce l’album “Com’è profondo il mare”, pubblicato nel 1977, un disco che avrà un grande successo anche commerciale, e che rivelerà definitivamente il genio di Dalla ad un pubblico vastissimo.

Registrato tra Roma e gli studi di Carimate,  prodotto da Alessandro Colombini, il disco è frutto della collaborazione di musicisti  molto vicini alla sensibilità dell’artista. Ognuno di loro ha regalato all’opera un po’ di sé, rivelandosi un fantastico e fondamentale arricchimento , che si percepisce in ogni nota ed in ogni traccia.

Pop, blues, grandi arie melodiche, improvvisazioni vocali, scat, accenni reggae, rock, stomp, sono generi fusi e mescolati in un grande discorso eccentrico, visionario, miracolosamente armonico, intelligente, sentimentale, raccolto in otto canzoni che sono oramai fili intessuti profondamente nel nostro tessuto musicale e culturale.

“Il pensiero da’ fastidio, anche se chi pensa è muto, come un pesce”, scrive il cantautore nel brano che apre il disco:

Come è profondo il mare è una rivelazione che lascia storditi disorientati e conquistati. Le parole, quelle che danno fastidio, sono stralci , illuminazioni, epifanie del mondo.

La fine degli anni ’70 è un periodo complesso e di difficile interpretazione. Sono gli anni di piombo, delle rivendicazioni sociali. Dell’incertezza e della paura, e il mondo appare attraverso le parole di questa canzone profondo e buio, misterioso, come il mare, affascinante, e cattivo se vuole. Pieno di oscuri pensieri, di irte salite.

Il mondo, la vita, sono raccontate qui, e più in generale in  tutto il disco, attraverso squarci di luce che rivelano immagini dense, poetiche, delicate, crude, a volte surreali, altre addirittura umoristiche, o affettuosamente colme di pietas.

Racconta Alessandro Colombini che la genesi di questa canzone fu piuttosto travagliata, perchè Dalla non era pienamente convinto dell’arrangiamento e non si decideva a concluderla.

Fu Ron, Rosalino Cellammare,allora giovanissimo  musicista, autore e collaboratore, a risolvere il problema suggerendo al cantautore l’andamento ritmico che si rifaceva ad alcuni pezzi di Neil Young.

Il suono liquido, ovattato come le profondità marine, la batteria di Flaviano Cuffari, l’entrata del basso con una scala geniale di Paolo Donnarumma , le chitarre ritmiche sullo sfondo, i cori di sirene delle Baba Yaga, e l’introduzione melodica, indimenticabile, fanno da sfondo al testo, che inizia questa esplorazione delle profondità sconosciute che ci circondano.

Treno a vapore è un film in bianco e nero, il  comico e patetico, dolce e crudele racconto delle peripezie di un padre ed un figlio, due vagabondi, due avventurieri buttati in balia delle onde del mondo.

Le tastiere  e la batteria suggeriscono l’andamento incessante e regolare di un  treno,  che non da’ tregua e tutto trascina, il moog crea scenari di cieli infiniti, vastità immense e profonde, come il mare. I cori delle Baba Yaga creano una curiosa atmosfera di allegra indifferenza. La fame, la fatica e la miseria si risolvono in un volo improvviso su un bastone. Verso la speranza o il nulla.

Il cucciolo  Alfredo ha un’altra intro memorabile, sospesa, malinconica come la storia narrata.

Ancora il ritratto  di un’anima al margine , sbattuta tra i marosi della normalità, tra politici e pubblicità. Solitudini in penombra, ricerca di tenerezza, un viaggio visto attraverso le finestre di un autobus, attraverso una camminata tra marciapiedi deserti.

Il commento della chitarra elettrica e delle tastiere del valentissimo Alessandro Centofanti creano uno spazio sospeso tra cielo e terra, commentato infine dal fraseggio vocale di Dalla, che ancora una volta libera il protagonista, aprendogli una via di fuga verso il cielo.

Corso Buenos Aires si apre con il cicaleccìo della gente che parla e sparla, recitata con brio ed inventiva dallo stesso Lucio Dalla.

Dove è finito ? E’ passato di qui, con la sua faccia gialla da assassino? Il pezzo rotola, convulso, colorato, le chitarre commentano, si impuntano, sostengono, il piano martella ritmico, mentre le testimonianze si accavallano, spaurite, perchè un uomo, un bimbo e un cane portano scompiglio.

Ritratti si avvicendano, si spingono, in una confusione caotica, rutilante, giocosa e sottilmente crudele, in una foresta di visi e storie che sospingono lontano, e che aumentano la sensazione di disperata solitudine.

Chitarre e ritmiche, tastiere allegramente reggae , ed un incipit folgorante (Ti hanno visto bere a una fontana, che non ero io…),  divertiti  fiati a risposta , condiscono i pochi accordi di Disperato erotico stomp, che con  un testo irridente disegna bellissime  immagini di altre solitudini,  (non so se hai presente una puttana, ottimista e di sinistra…), perse dentro una città , in questo caso l’amata Bologna,ma potrebbe anche essere Berlino,  smarrite, in bilico tra humor nero  e malinconia. L’unico modo di sfuggire a tutto questo disordine  è tornare a casa, rilassarsi e…..

L’atmosfera si stempera, diventa notturna, lunare in Quale allegria . L’incipit travolse e convinse il produttore Colombini, che sin dalla prima frase, racconta, comprese di trovarsi davanti ad un capolavoro.

Illusioni che svaniscono ed impallidiscono silenziosamente, lentamente, giorno dopo giorno, persone perse, forse mai avute davvero, senso di straniamento, solitudini immense che ti seguono anche tra la folla, mentre vivi e cammini, la fatica di far finta che vada tutto bene, perchè non ci si può fermare, vivere senza allegria, è drammaticamente e dolcemente raccontata dalla voce raccolta e partecipe di Dalla. Chitarre acustiche, moog, elettronica e infine l’orchestra ad ampliare il senso di immensa solitudine, profonda e smisurata .

E non andare più via ha una introduzione al pianoforte piuttosto cantautoriale. Ed il pianoforte, suonato dallo stesso cantautore, insieme a tastiere fanno da  discreto tappeto, fino al ritornello liberatorio, di ampio respiro,  dell’orchestra diretta da Ruggero Cini, un volo lirico di grande bellezza, che commenta il testo che parla di perdita in ogni sua riga. Chi perde le labbra, chi qualcuno o qualcosa. Un saluto alla città sorella, raccontata tante volte in maniera unica e mirabile, Roma, svelata da Dalla nella sua antica imperscrutabile, sgangherata ed affascinante, impareggiabile  grandezza .

Chiude il disco Barcarola. I fedeli ed appassionati musicisti, Jilly Villotti, Marco Nanni, Giovanni Pezzoli, Luciano Ciccaglioni, legati da un solo filo ed un solo sentimento, molti dei quali formeranno poi la band “Stadio”, si congedano insieme a Lucio Dalla con questa barcarola blues, tra cori e scat personalissimo.

Disco importante, che rivela a tutti un Lucio Dalla appassionato, folle, delicato, cruento, affettuoso, istintivo, rivelatore, giocoliere di musica e sentimenti, che si fa amare e che aprirà la strada a molti, anche se non è stato ancora raggiunto.

 

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