Kind Of Blue
-
1. So What 9:22
-
2. Freddie Freeloader 9:46
-
3. Blue in Green 5:37
-
4. All Blues 11:33
-
5. Flamenco Sketches 9:26
-
6. Flamenco Sketches 9:32
Negli anni Cinquanta il jazz aveva cominciato a mettere in discussione i suoi convenzionali fondamenti tematici; alla fine del decennio, i suoi interpreti più fecondi tradivano una certa insoddisfazione nei confronti del bebop.
L’apice delle nuove tensioni fu raggiunto con la pubblicazione, nel 1959, dell’album Kind of Blue di Miles Davis, la più portentosa pietra miliare del jazz, ritenuto oggi il disco jazz più venduto di tutti i tempi, da sempre apprezzato ben al di là delle divisioni di genere, come dimostra anche l’inclusione (al dodicesimo posto) nella lista dei migliori album di tutti i tempi stilata dalla rivista “Rolling Stone”.
L’eccezionalità dell’album è da ricondurre senz’altro, in primo luogo, alla straordinaria formazione che l’ha prodotto: oltre a Davis, il pianista Bill Evans (che ha da sempre rivendicato un maggiore ruolo di coautore, palpabile in alcuni brani ma puntualmente smentito da Davis), John Coltrane al sassofono tenore, Julian “Cannonball” Adderley al sassofono contralto, Paul Chambers al contrabbasso e Jimmy Cobb alla batteria, con la partecipazione del pianista Wynton Kelly in Freddie Freeloader. Inoltre Kind of Blue si presenta come l’enunciazione definitiva di una nuova visione destinata a rivoluzionare il jazz. E, in fondo, a racchiudere l’essenza stessa del jazz: era infatti strettamente legata alla filosofia orientata alla modalità una profonda predilezione per l’improvvisazione, per la spontaneità creativa. Kind of Blue fu registrato in due sole sessioni, pressoché senza prove (il sestetto si trovò a suonare insieme, nell’arco di due anni, solo cinque o sei volte); Davis presentò ai suoi musicisti delle linee melodiche, delle scale embrionali, qualche spunto di riff…quegli sketches che tanta importanza hanno avuto nei vari sviluppi della sua poetica. L’assenza dei limiti posti dal tradizionale sistema di accordi era nella visione di Davis non solo un’occasione di inedita libertà, ma anche una vera e propria sfida alla creatività melodica dei singoli musicisti: meno accordi, ma infinite possibilità per il loro dispiegamento. Una cornice spartana a servizio dell’esplosione di un estro libero, come si riscontra nel fiorire di assolo sempre più suggestivi e nella graduale dilatazione temporale (quattro dei cinque brani che compongono l’album superano i nove minuti di durata). Kind of Blue, perfetta concretizzazione di un pensiero rivoluzionario, si trovava così anche ad inaugurare una lunga stagione di contaminazioni, di vorace curiosità oltre le classificazioni di genere, con il suo puntuale corteggiamento al blues, con la fascinazione etnomusicologica del brano conclusivo Sketches of Spain, e con l’influenza seminale che ha da sempre esercitato sui più disparati linguaggi musicali.
So What: Apre l’album quello che è considerato uno dei temi più celebri, se non il più celebre, del jazz di tutti i tempi. Un’evanescente introduzione a tempo libero ad opera di piano e contrabbasso, il cui sapore debussiano mette a nudo la mano di Evans in tutta la sua delicatezza, cede il posto all’esposizione del tema da parte del secondo, con le eleganti risposte dei fiati. Da qui muove il passo la danza trombettistica di Davis, libero padrone del tempo, in quella che è una magnifica enunciazione di musica modale, esemplarmente scandita da sedici battute di re dorico seguite da otto in mi bemolle dorico per un ritorno conclusivo alla scala iniziale in otto battute.
Freddie Freeloader: Segue l’atmosfera blues di Freddie Freeloader, brano per il quale Davis richiama Wynton Kelly, vecchia conoscenza della sua formazione, al posto di Evans. La presenza di Kelly, riconoscibile per il vivace tocco blues, è funzionale alla ricerca evocativa voluta da Davis. Il trombettista, infatti, con Kind of Blue non intendeva limitarsi all’intento modale: dichiarò di voler anche riappropriarsi di quei suoni inconfondibili, un misto schietto di blues e gospel, sentiti in gioventù nel Kansas. Freddie Freeloader faceva riferimento ad un ragazzo, conosciuto da Davis, che frequentava la scena jazz distinguendosi con un tratto implacabile: Freddie era uno scroccone, uno sempre pronto a chiedere qualcosa alla gente. La sua storia ha ispirato questa musica dall’amabile essenzialità ritmica e melodica. L’esposizione del tema da parte di Davis è seguita dalle singole improvvisazioni dei suoi musicisti, sulle quali spicca, luminosa, quella di Coltrane, astro nascente dal tocco maestoso.
Blue in Green: Unico brano apertamente accreditato anche a Bill Evans, Blue in Green è da molti considerato il momento più bello, sicuramente il più intenso, dell’intero album. L’introduzione del piano già annuncia un lirismo dal sapore trascendentale che contraddistingue la composizione, tenendola sempre, magicamente, sul filo della commozione. La lentezza del tempo appare come una scelta elegiaca e quasi sfrontata, un incedere sospeso a mezz’aria che incanta l’ascoltatore con la sua inafferrabile consistenza, fragile e celeste.
All Blues: Un brano parzialmente modale, che con la sua struttura convenzionale di blues in dodici misure ed il suo tempo di 6/8 sembrerebbe rappresentare una bizzarria per l’album. In realtà, c’è una radice più profonda da rintracciare nell’accostamento del blues alla predilezione generale dell’album per il modo dorico. Infatti le caratteristiche distintive del modo dorico (la terza e la settima minore) lo portano ad insistere sui medesimi intervalli che contraddistinguono la scala blues. Una coincidenza che deve aver senz’altro affascinato Davis, sempre più incline a vivaci contaminazioni di genere. All Blues, che più di tutte le altre tracce del disco segnala il tocco fluido della batteria di Cobb, è tutto costruito a partire dalla genialità melodica del suo autore, la cui tromba si muove sinuosa sopra uno stimolante tempo di valzer.
Flamenco Sketches: la traccia finale di Kind of Blue è senz’altro l’episodio più suggestivo dell’album, una lirica anticipazione delle ricerche che avrebbero in seguito impegnato Davis, soprattutto con il capolavoro Sketches of Spainpubblicato l’anno successivo. Si dice che Flamenco Sketches così com’è riportata nel disco non sia altro che la prima versione provata dal sestetto, un caso straordinario di improvvisazione figlia di abilità e complicità musicale irraggiungibili. Il brano è costruito su cinque scale, ognuna protratta secondo il libero piacere del solista di turno. Si apre, ancora una volta, con uno scambio di battute tra il pianoforte ed un contrabbasso dai movimenti spagnoleggianti. Il sapore esotico qui ricercato, inaugurazione di un vivace cosmopolitismo artistico che caratterizzerà il jazz dei decenni successivi, è ribadito dalla suggestiva “prepotenza” della scala frigia. L’omaggio alla dimensione spagnola fugge ogni prevedibilità grazie alla scelta di un tempo lento, provandosi capace di un ethos appassionato e raffinato. L’alternarsi dei solisti porta ad emergere, oltre al solito genio esplosivo di Davis, il romanticismo quasi mistico di Coltrane, teso tra espressionismo ed intimismo.