Quando Un Musicista Ride
-
1. Quando Un Musicista Ride 4:32
-
2. Faceva Il Palo 3:57
-
3. Una fetta di limone 3:16
-
4. El Portava I Scarp Del Tennis 5:12
-
5. I Soliti Accordi 4:39
-
6. Gia’ La Luna E’ In Mezzo Al Mare 4:44
-
7. Vincenzina e la fabbrica 4:01
-
8. Bartali 4:08
-
9. Ragazzo Padre 3:40
-
10. Allora Andiamo 3:45
-
11. Pensare Che 3:41
-
12. Quello Che Canta Onliu00c3u00b9 4:02
-
13. Zan Zan Le Belle Rane 2:37
-
14. Il Maiale 3:25
-
15. Se Me Lo Dicevi Prima 4:22
-
1. Ho visto un re 7:10
-
2. No Tu No 3:03
-
3. Son Sciopaa 5:06
-
4. Messico E Nuvole 3:15
-
5. Il Dritto 3:45
-
6. La Fotografia 5:06
-
7. Io e te 3:36
-
8. Prete Liprando 7:16
-
9. Vita E Bottoni 4:00
-
10. Giovane Pazza 4:09
-
11. L’Americana 5:30
-
12. E Allora…Concerto 5:38
-
13. Veronica 3:56
-
14. L’Amico 5:30
-
15. Quelli che 5:07
-
1. Saxophone 3:20
-
2. Silvano 4:08
-
3. Poveri Cantautori 4:03
-
4. Ci Vuole Orecchio 6:05
-
5. Mario 5:16
-
6. Domenica 24 Marzo 3:02
-
7. Genova Per Noi 3:53
-
8. Secondo Te Che Gusto C’E' 3:13
-
9. L’Armando 2:36
-
10. ‘O Surdato ‘Nnamorato 3:37
-
11. E La Vita, La Vita 4:00
-
12. Un Nano Speciale 2:33
-
13. Brutta Gente 4:35
-
14. Il Primo Furto Non Si Scorda Mai 3:01
-
15. Si Vede 4:07
-
1. Bobo Merenda 3:05
-
2. Pedro Pedreiro 2:55
-
3. Gheru-Gheru 2:04
-
4. Gli Zingari 4:12
-
5. Pensione Italia 3:55
-
6. Giovanni Telegrafista 3:20
-
7. Un Amore Da 50 Lire 2:54
-
8. L’Uselin De La Comare 4:19
-
9. L’Artista 2:21
-
10. La Strana Famiglia 3:15
-
11. Non Finiru00c3u00a0 Mai 2:19
-
12. Musical 5:57
-
13. Hai Pensato Mai 2:11
-
14. Io Ero Quello Lu00c3u00a0 6:06
-
15. Quando Il Sipario Calera' 4:01
“Quando un musicista ride” è una raccolta di brani cari a Enzo Jannacci, pubblicata nel 1998. Nel disco,“Messico e nuvole”, “Ci vuole orecchio” “El purtav i scarp del tennis” e tante altre canzoni, narrate con voce imprecisa eppure stentorea, con quel senso di impaziente umanità, con quel surrealismo che faceva sorridere, stupiva e affascinava.
Jannacci era un uomo colto e bello, una persona sensibile, severa, milanese doc, musicista,medico, attore, autore, sognatore, attento lettore dei nostri cuori e dei nostri costumi.
E ci rideva su, certo, come può ridere un artista, che intanto però colpisce duro.
E raccontava Milano, la musica, la politica, le amicizie farlocche, i sogni sghimbesci, le nuvole che cambiano forma in continuazione, come i suoi discorsi, lasciati a metà, ma ben chiari, come il suo sguardo, via via radioso, severo, benevolo, irridente.
Le sue canzoni sono così, ti confondono, ti smarriscono, a volte sembrano versi messi a caso, eppure se fai un passo indietro il disegno è proprio lì, e lo puoi vedere.
I suoi personaggi, sempre ultimi, goffi, stralunati, lo hanno ispirato, emozionato con un gesto lasciato a metà, una storia piccola piccola, uguale a tante altre e tanto diversa.
Il suo punto di vista, non ci lascia comodi, ci spinge a guardare, a farci domande, noi, che non abbiamo tempo e voglia, e non vogliamo altri problemi e altre ferite.
E la sua risata di musicista, che dice, “va beh dai, ascolta e poi fai tu, si scherza, si fa musica”.
E proprio “Quando un musicista ride” è il brano che apre l’album. Musica di gran classe, sognante jazz, archi eleganti,pianoforte e tastiere sostenuti dalla discreta ritmica di Lele Melotti alla batteria mentre Jannacci racconta la difficoltà e la bellezza di essere musicista. Tra paradossi e frasi buffe serpeggia un sentimento di emozionante e vibrante voglia di vivere, di suonare, di ascoltare.
Conclude Tomellieri ai fiati, in un solo in duetto con il musicista milanese.
In un’atmosfera dixieland , dedicata a Fred Buscaglione, inizia “Il palo”, storia di un ometto che campa avvertendo il resto della banda, “dell’Ortica”, quartiere della città meneghina. Tra l’italiano e il dialetto milanese , con il prezioso apporto del clarinetto, si svolge la storia del palo. Non ci vede bene, ci sente ancor meno, e non si accorge che la banda viene acciuffata. E’ un’immagine di una Milano che non c’è più, provinciale, povera, semplice.
“Una fetta di limone”, canzone dell’amico Corsaro Giorgio Gaber, altra anima bella, ha il ritmo di un indiavolato rock and roll. E’ la divertita risposta alle avances di una signora in la’ con gli anni . Se proprio vuole darmi qualcosa, signora, allora … vorrei una fetta di limone. Sembra di vederli, Gaber e Jannacci, mentre si dimenano e suonano raccontando questa storia iperbolica, nonsense, che brilla per originalità tra tanti testi d’amore spiegato.
Si continua con uno dei pezzi più belli in assoluto, un pezzo di storia: “El purtava i scarp del tennis”: il dialetto milanese diventa musica nella storia bellissima, di un perdente splendido, un “barbun”, che sogna l’amore, che non è mai stato su una macchina (funzionante), che non sa nemmeno se esiste l’aeroporto a milano, e che un giorno viene ritrovato, con la sua faccia buona, addormentato per sempre sotto un cartone. Jannacci racconta questa storia con brio, umorismo, mangiandosi le parole, interrompendosi, recitando le parti, colorando ogni immagine, ammantandola di tenerezza, rendendo questa figurina un eroe del nulla, da amare, indimenticabile.
Paolo Rossi è l’ospite in “I soliti accordi”. Un duetto perfetto, in un’atmosfera trafelata, allegra, sarcastica. I soliti accordi non sono quelli musicali ma quelli delle pastette combinate da chi sta lì a decidere per noi, tra leggi e decreti. La solita solfa, raccontata con immensa intelligenza da i due artisti, che presentarono la canzone al Festival di Sanremo 1994.
E’ tempo di tarantella con il bellissimo classico “Già la luna in mezzo al mare”, di Gioacchino Rossini. Jannacci gioca con Dario Fo, si canta in napoletano, si gigioneggia, ci si improvvisa Pulcinella, e nessuno di loro è più degno di indossare la divisa bianca della maschera irriverente ed indomabile. Il finale finisce in una jam session, tra piano jazz e chitarre elettriche, in una festa eterna.
“Vincenzina e la fabbrica” è uno dei brani più amati da Jannacci, che racconta con voce stentata, velata di pietas e partecipazione, una carezza sul cuore, questa donna che vive di fatica e di pochi colori. L’orchestrazione è trascinante, una culla musicale che accoglie la vita minima e drammatica dell’operaia Vincenzina, ombra risucchiata dalla vita della fabbrica, faccia bianca tra milioni di facce.
“Bartali” è la celeberrima canzone di Paolo Conte, rivisitata in chiave pop rock, che racconta magistralmente la figura del ciclista, smunta di fatica, eroica, semplice e grandiosa, che ci invidiarono anche i cugini francesi.
“Ragazzo padre”, scritta con Bruno Lauzi, narra le vicissitudini di un ragazzo padre che vive in miseria tra l’indifferenza generale della società.
Si continua l’ascolto di brani pregevoli come “Allora andiamo”, “Pensare che”, la bellissima “Quello che canta Onliù” “Zan Zan le belle rane”, ancora un rock and roll scritto con Massimo Boldi, passando poi per “Il maiale”, irrazionale e travolgente.
“Se me lo dicevi prima” , presentata a Sanremo nel 1989, è una canzone dal testo amaro, che mette alla berlina quelli che giocano con le parole e la vita degli altri, con false promesse, che mancano di rispetto, tra incredibili superficialità e disattenzioni. Meno male che c’è Gaber e il Milan che segna,e il sole che splende sulla faccia, perchè il resto non c’è, al mondo non gliene frega niente se stai male.
“Ho visto un re” è un brano storico. Scritta da Dario Fo, fu proposta da Jannacci a Canzonissima nel 1969. Nonostante fosse periodo di ribellioni sociali, la Rai censurò la canzone per le sardoniche frasi contenute nella canzone, dove si dimostra che non sempre il povero e l’umile si piega al potente. La performance di Fo e Jannacci è imperdibile, svaccata, vigorosa, energica, irresistibile.
Si continua con “No tu no”, che fece conoscere Jannacci al grande pubblico. Riletta con un arrangiamento latineggiante, questo successo del 1968 venne ancora una volta presa di mira dalla censura per i suoi contenuti satirici, ma dalla maggioranza del pubblico venne apprezzata per il suo andamento allegro e il testo irreale, un dialogo divertente e serrato.
“Son sciopaa”è un capolavoro, intensa, commovente, disperata, protagonista ancora un uomo che grida la sua disperazione nell’indifferenza generale. Jannacci interpreta con trasporto e slancio, lasciandoci spaesati ed innamorati di quest’uomo senza casa, senza niente, forte ancora come un eroe.
“Messico e Nuvole” è un grande successo, oramai un sempreverde, un classico. Atmosfera da mariachi indiavolati per questa bella canzone di Giorgio Conte e Giorgio Pallavicini, ripreso con grandissimo successo anche da Giuliano Palma nel 2005.
Di canzone in canzone si arriva a “Io e te”, del 1979. Introdotta da un lungo solo di sax si apre alla bella melodia,che parla della bellezza dei vent’anni. Bellezza che resiste a mille problemi, mancanza di lavoro, di speranze, che cerca di resistere alla vita. C’è una tristezza ammaliatrice che rimane persistente nel cuore anche molto dopo la fine dell’interpretazione dell’artista milanese.
Passando ancora da brano a brano si arriva a “Quelli che”, celeberrima sigla della trasmissione sportiva di rai due. Fotografie impietose di migliaia di situazioni, patetiche, divertenti, surreali, scontate, incredibili, vergognose. Ci siamo tutti, in questa lunga galleria sfogliata su una base jazz, da non perdere.
Se “Saxophone” è un gioco musicale sostenuto da una bella orchestrazione di classico jazz, estremamente godibile, “Silvano” è un capolavoro di ironia, scritta con il duo cabarettistico Cochi e Renato.“picchiami, stringimi, sgonfiami”, Jannacci è giocoliere di parole in una frizzante atmosfera swing e rock and roll che resta attaccata alla memoria .
Impossibile non citare “Ci vuole orecchio”, un rythm’n’blues datato 1980, in cui Jannacci canta di quanto bisogna avere orecchio per cantare intonati agli altri. Nell’orchestra, si, ma soprattutto nella vita.
Scritta da Pino Donaggio, “Mario” è di nuovo un ritratto di un uomo che non vince, “Spaesato, affogato in un fiasco di vino”, chissà dov’è andata la fine. Il sound della canzone è fortemente legato all’epoca della pubblicazione, 1979, il sax la fa da padrone, e passando per la bellissima “Genova per noi”, canzone manifesto scritta da Paolo Conte, planiamo su “L’Armando”, arrangiato in stile classic Jazz, euforica, effervescente, e sfiorando la svitata e geniale “Bobo Merenda”, si arriva alla memorabile “Giovanni il telegrafista”, che arricchisce la galleria di personaggi indimenticabili, patetici, poetici, immersi in una luce morbida d’amore strappacuore.
Chiude l’album “Quando il sipario calerà”, un testamento musicale intenso, meditabondo, addolorato, dal testo evocativo, intriso di malinconia. Il sipario si chiude, ma l’Enzo resta lì al piano, a finire la sua canzone, e noi lì, ad ascoltare.
Applausi.